Dante, il De Vulgari Eloquentia e i dialetti italiani

Come e perché il Sommo Poeta decise di scrivere la Commedia in volgare

Dopo aver unito l’Italia, i padri della Patria si trovarono di fronte a un’altra ardua impresa. Nella difficile costruzione, che partì dal riconoscimento dell’esistenza di un patrimonio comune di lingua, cultura, tradizioni, religione, istituzioni, valori condivisi a tutti coloro che vivevano sul territorio italiano, punto di partenza certamente imprescindibile fu il riconoscimento di colui che era da ritenersi il padre della lingua. In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, scriveva l’amico Franco Pollini, direttore del Teatro Bonci di Cesena: «Dante è l’Italiano, la lingua, la letteratura, la cultura italiana. Quella che mancava, a cui si doveva tornare per costruire gli “Italiani” dopo l’”Italia”».

Dante Alighieri fu esule in Romagna e, com’è noto, qui compose gran parte del poema più importante della storia della letteratura italiana, tradotta in moltissime altre lingue del mondo. Quando il Sommo Poeta dovette scegliere se scrivere la Commedia in volgare o in latino non ebbe dubbi. La sua opera doveva essere popolare, doveva essere compresa da chiunque per poter essere letta nelle piazze e nelle strade. La ricerca della lingua per Dante fu però complessa: doveva essere un linguaggio duttile, capace di piegarsi agli usi e alle necessità imposte dalla creazione letteraria, in grado di competere con l’ingombrante concorrenza del latino. Arrivò così a compiere la scelta dopo lunghi studi che diedero origine alla stesura del De Vulgari Eloquentia. La lingua della sua città natale funse certamente da base di partenza; tuttavia, nei 21 anni di vita che lo videro esule in giro per l’Italia, egli ebbe modo di assorbire il linguaggio e le espressioni del volgo, come pure dei nobili, di altre città e altre parti della nostra penisola.

Per questo Dante oggi, a poche settimane dall’inizio del 2021 e delle celebrazioni per il 700esimo anniversario della sua scomparsa, è unanimemente considerato padre fondatore della lingua italiana, quella che ci accomuna e che un po’ stiamo smarrendo.

Il “ghibellin fuggiasco” (come erroneamente lo definisce Ugo Foscolo nei Sepolcri), tra il 1303 e il 1305, scrisse in latino il De Vulgari Eloquentia, considerato dagli studiosi il primo trattato di linguistica, un vero e proprio manuale per riconoscere la lingua italiana laddove si stava formando e imponendo, quel volgare che egli riteneva «illustre, cardinale, regale e curiale» e che «è di ogni città italiana ma non sembra appartenere a nessuna e sulla cui base tutti i volgari locali degli Italiani sono misurati, valutati e confrontati», definizione ancora oggi utilizzabile per definire la nostra lingua.

Il De Vulgari è un trattato (in due libri, ma incompleto), un’opera unica e fondamentale nel fornire una descrizione accurata dell’Italia dialettale del XIII secolo. Il grande fiorentino vi esamina le lingue, prima europee, poi quelle italiche da lui conosciute, soffermandosi sul vulgare latium parlato nella nostra penisola. Con grande perizia e precisione, come suo solito, Dante evidenzia come il linguaggio fosse fortemente differenziato a livello geografico. Per questo, nella sua analisi, prende gli Appennini come spartiacque tra i dialetti e divide l’Italia in due parti distinte: il versante tirrenico e quello adriatico. Operando questa suddivisione individua ben quattordici differenti dialetti, ripartiti a loro volta in molte varietà, una moltitudine di idiomi che contraddistingue ancora oggi l’Italia.

«Riconducendo la nostra trattazione al volgare italiano – scrive l’Alighieri –, cerchiamo di dire quali variazioni ha avuto e di confrontare fra loro queste variazioni. Affermiamo dunque anzitutto che l’Italia è divisa in due parti: la destra e la sinistra. Se poi mi si chiede quale è la loro linea divisoria, rispondiamo in breve che essa è costituita dalla cresta dell’Appennino: questa cresta infatti, come il displuvio di un tetto da cui l’acqua gronda da una parte e dall’altra per cadere in due direzioni opposte, fa scorrere per lunghi embrici le acque, che defluiscono da entrambi i lati verso l’uno o l’altro litorale, come dice Lucano nel secondo libro. Il lato destro ha come bacino di raccolta il mar Tirreno, il sinistro invece cade nell’Adriatico. Le regioni del lato destro sono: l’Apulia [per Apulia Dante intende più o meno i territori delle odierne Abruzzo, Campania, Calabria, Basilicata, Molise, Puglia, Roma, il Ducato [di Spoleto, nda], la Toscana, la Marca Genovese. Le regioni del lato sinistro sono invece: parte dell’Apulia, la Marca Anconitana, la Romagna, la Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia. Il Friuli e l’Istria devono necessariamente appartenere al lato sinistro d’Italia, mentre le isole del mar Tirreno, cioè la Sicilia e la Sardegna, non possono che appartenere al lato destro o esservi associate. I linguaggi degli uomini di entrambi i lati d’Italia (e delle regioni che ad essi si aggiungono) variano fra loro: per esempio, è diverso il linguaggio dei Siciliani e degli Apuli, quello degli Apuli e dei Romani, quello dei Romani e degli abitanti di Spoleto, quello di questi ultimi e dei Toscani, quello dei Toscani e dei Genovesi, quello dei Genovesi e dei Sardi; e ancora: quello dei Calabri e degli Anconitani, quello degli Anconitani e dei Romagnoli, quello dei Romagnoli e dei Lombardi, quello dei Lombardi e quello dei Veneziani e dei Trevigiani, quello di questi ultimi e quello della gente di Aquileia, quello degli abitanti di Aquileia e degli Istriani. Su questo pensiamo che nessun Italiano dissenta da noi».

Questa classificazione dei dialetti italiani risente di alcuni evidenti limiti. Tuttavia il grande pregio di Dante fu di essere stato il primo ad aver preso in esame l’argomento. Il De Vulgari Eloquentia contiene una serie di annotazioni sui vari dialetti diffusi in Italia alla fine del XIII secolo. Come si è detto, vi si riconoscono due diversi macro gruppi di idiomi parlati, che vengono così descritti:
«Oltrepassando le verdi pendici d’Appennino, si va ora a indagare attentamente, come siamo soliti, nella parte sinistra d’Italia, cominciando da oriente. Entrando dunque in Romagna, dirò che qui si trovano due volgari che presentano caratteristiche simmetriche e opposte. Uno di essi sembra così femmineo per la mollezza delle sue parole e della pronuncia, che un uomo che lo parli, per quanto abbia una voce maschia, potrebbe essere scambiato per una donna. Questo è il romagnolo, soprattutto quello parlato a Forlì, città che, pur essendo collocata ai margini, è tuttavia il centro vitale di tutta la provincia […]. L’altro volgare di cui si diceva è così irsuto ed ispido per parole e accenti che, a causa della sua rozza asprezza, una donna che lo parli non solo è disdicevole ma, caro lettore, la potresti persino scambiare per un uomo. Questa è la lingua di tutti quelli che dicono magara, come i Bresciani, i Veronesi e i Vicentini: anche i Padovani […]».

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Marco Viroli

Marco Viroli è nato a Forlì il 19 settembre 1961. Scrittore, poeta, giornalista pubblicista, copywriter, organizzatore di eventi, laureato in Economia e Commercio, nel suo curriculum vanta una pluriennale esperienza di direzione artistica e organizzazione di mostre d’arte, reading, concerti, spettacoli, incontri con l’autore, ecc., per conto di imprese ed enti pubblici. Dal 2006 al 2008 ha curato le rassegne “Autori sotto la torre” e “Autori sotto le stelle” e, a cavallo tra il 2009 e il 2010, si è occupato di pubbliche relazioni per la Fondazione “Dino Zoli” di arte contemporanea. Tra il 2010 e il 2014 ha collaborato con “Cervia la spiaggia ama il libro” (la più antica manifestazione di presentazioni librarie in Italia) e con “Forlì nel Cuore”, promotrice degli eventi che si svolgono nel centro della città romagnola. Dal 2004 è scrittore e editor per la casa editrice «Il Ponte Vecchio» di Cesena. Autore di numerose prefazioni, dal 2010 cura la rubrica settimanale “mentelocale” sul free press settimanale «Diogene», di cui, dal 2013, è anche direttore responsabile. Nel 2013 e nel 2014, ha seguito come ufficio stampa le campagne elettorali di Gabriele Zelli e Davide Drei, divenuti poi rispettivamente sindaci di Dovadola (FC) e Forlì. Nel 2019 ha supportato come ufficio stampa la campagna elettorale di Paola Casara, candidata della lista civica “Forlì cambia” al Consiglio comunale di Forlì, centrando anche in questo caso l’obiettivo. Dal 2014 al 2019 è stato addetto stampa di alcune squadre di volley femminile romagnole (Forlì e Ravenna) che hanno militato nei campionati di A1, A2 e B. Come copywriter freelance ha collaborato con alcune importanti aziende locali e nazionali. Dal 2013 al 2016 è stato consulente di PubliOne, agenzia di comunicazione integrata, e ha collaborato con altre agenzie di comunicazione del territorio. Dal 2016 al 2017 è stato consulente di MCA Events di Milano e dal 2017 al 2020 ha collaborato con la catena Librerie.Coop come consulente Ufficio Stampa ed Eventi. Dal 2016 al 2020 è stato fondatore e vicepresidente dell’associazione culturale Direzione21 che organizza la manifestazione “Dante. Tòta la Cumégia”, volta a valorizzare Forlì come città dantesca e che culmina ogni anno con la lettura pubblica integrale della Divina Commedia. Da settembre 2019 a dicembre 2020 è stato fondatore e presidente dell’associazione culturale “Amici dei Musei San Domenico e dei monumenti e musei civici di Forlì”. Da dicembre 2020 è direttore artistico della Fabbrica delle Candele, centro polifunzionale della creatività del Settore delle Politiche Giovanili del Comune di Forlì. PRINCIPALI PUBBLICAZIONI Nel 2003 ha pubblicato la prima raccolta di versi, Se incontrassi oggi l’amore. Per «Il Ponte Vecchio» ha dato alle stampe Il mio amore è un’isola (2004), Nessun motivo per essere felice (foto di N. Conti, 2007) e "Canzoni d'amore e di funambolismo (2021). Suoi versi sono apparsi su numerose antologie, tra cui quelle dedicate ai Poeti romagnoli di oggi e… («Il Ponte Vecchio», 2005, 2007, 2009, 2011, 2013), Sguardi dall’India (Almanacco, 2005) e Senza Fiato e Senza Fiato 2 (Fara, 2008 e 2010). I suoi libri di maggior successo sono i saggi storici pubblicati con «Il Ponte Vecchio»: Caterina Sforza. Leonessa di Romagna (2008), Signore di Romagna. Le altre leonesse (2010), I Bentivoglio. Signori di Bologna (2011), La Rocca di Ravaldino in Forlì (2012). Nel 2012 è iniziato il sodalizio con Gabriele Zelli con il quale ha pubblicato: Forlì. Guida alla città (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2012), Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2013), Terra del Sole. Guida alla città fortezza medicea (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2014), I giorni che sconvolsero Forlì («Il Ponte Vecchio», 2014), Personaggi di Forlì II. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2015), Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna («Il Ponte Vecchio», 2016), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna volume 2 («Il Ponte Vecchio», 2017); L’Oratorio di San Sebastiano. Gioiello del Rinascimento forlivese (Tip. Valbonesi, 2017), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna, vol. 3 («Il Ponte Vecchio», 2018). Nel 2014, insieme a Sergio Spada e Mario Proli, ha pubblicato per «Il Ponte Vecchio» il volume Storia di Forlì. Dalla Preistoria all’anno Duemila. Nel 2017, con Castellari C., Novara P., Orioli M., Turchini A., ha dato alle stampe La Romagna dei castelli e delle rocche («Il Ponte Vecchio»). Nel 2018 ha pubblicato, con Marco Vallicelli e Gabriele Zelli., Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol.1 (Ass. Cult. Antica Pieve), cui ha fatto seguito, con gli stessi coautori, Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol. 2-3-4 (Ass. Cult. Antica Pieve). Nel 2019, ha pubblicato con Flavia Bugani e Gabriele Zelli Forlì e il Risorgimento. Itinerari attraverso la città, foto di Giorgio Liverani,(Edit Sapim, 2019). Sempre nel 2019 ha pubblicato a doppia firma con Gabriele Zelli Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna volume 4 («Il Ponte Vecchio») e Forlì. Guida al cuore della città (foto di F. Casadei, Diogene Books). Con Gabriele Zelli ha inoltre dato alle stampe: La grande nevicata del 2012 (2013), Sulle tracce di Dante a Forlì (2020), in collaborazione con Foto Cine Club Forlì, Itinerario dantesco nella Valle dell’Acquacheta (2021), foto di Dervis Castellucci e Tiziana Catani, e I luoghi di Paolo e Francesca nel Forlivese (2021), foto di D. Castellucci e T. Batani. È inoltre autore delle monografie industriali: Caffo. 1915-2015. Un secolo di passione (Mondadori Electa, 2016) e Bronchi. La famiglia e un secolo di passione imprenditoriale (Ponte Vecchio, 2016). 

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