Vincere, non stravincere

La politica moderna mi piace sempre meno. Soprattutto quando è troppo personalizzata. A volte rimpiango i caminetti

A livello nazionale prende sempre più corpo l’ipotesi di un governo istituzionale. Difficile immaginare che ne nasca uno politico. Potrebbe partire solo se il Pd appoggiasse  una parte o l’altra, oppure se 5Stelle e Lega facessero un accordo. Tutte ipotesi difficilmente percorribili come è difficile pensare che qualcuno voglia andare al governo grazie all’estensione del Pd.

Però un governo istituzionale  (appoggiato da tutti) sarebbe poco più che balneare. Forse 5Stelle e Lega troverebbero l’accordo sulla nuova legge elettorale. Per il resto la vedo dura. Soprattutto quando ci sarà da votare il bilancio che dovrà dare risposte al principale problema del paese: la disuguaglianza sociale. Le analisi dell’ultimo report di Bankitalia sono impietose.

E allora? Probabilmente sì andrà a votare tra un anno. Forse unendo europee, politiche e amministrative. E, se così fosse, ci dovremo rassegnare ad assistere ad una campagna elettorale lunga un anno. Con buona pace per le emergenze del paese. Perché in questi dodici mesi i veti incrociati saranno tali e tanti che permetteranno ad un eventuale governo di galleggiare.

E quando voterà cosa succederà? Io non azzardo previsioni. Se qualcuno vuole farlo si faccia avanti. Ma, credo, che nessuno abbia delle certezze.

Per quanto mi riguarda mi auguro si debba assistere ad una campagna elettorale nella quale al centro ci siano i programmi veri e realizzabili  e i partiti. Lo so, sono anziano e con una visione ormai fuori dal tempo, ma la personalizzazione della politica non mi piace.  Innanzitutto perché rifuggo dall’uomo forte, in secondo luogo perché non credo nell’uomo dei miracoli.

L’eccessiva personalizzazione è il motivo principale per cui io, elettore di centrosinistra, sono sempre stato distante da Renzi. Lo ero (tracce ce ne sono a bizzeffe) anche quando prese il 40 per cento.

Di esempi, comunque, se ne possono dare molti. Per lo stesso motivo, ad esempio, non ho condiviso la scelta che ha fatto Marco Di Maio. Al giovane parlamentare forlivese ho sempre guardato con interesse. Ho sempre pensato (e continuo a crederlo) che potrebbe essere un buon sindaco. Però non mi è piaciuta la scelta che ha fatto un campagna elettorale: puntare più sulla immagine che non sui simboli di partito che sono stati messi in secondo piano.

 

È vero che nei collegi uninominale un candidato deve metterci la faccia. Però, a mio avviso, a tutto c’è un limite. C’è da dire che il manifesto che privilegiata il voto del candidato c’è sempre stato. Ma quelli dell’epoca dei caminetti (che rimpiango) avevano una filosofia diversa.

A Di Maio però va dato atto che non si è mai nascosto. Anzi, ha fatto tutto alla luce del sole e ha spiegato con dovizia di particolari la sua scelta e l’ha difesa. Ci ha messo la faccia come come uomo del territorio. Insomma, ha puntato su stesso. Forse per equilibrare la debolezza dei partiti che lo sostenevano. Non condivido, ma capisco. È una sorta di strategia commerciale. Che ha pagato.

Io non la farei mai (ma sono anziano), ma vista così ci potrebbe anche stare. Però, a mio avviso, stridono alcune frasi che Di Maio ha detto dopo le elezioni. Tipo: con il voto diretto dei cittadini ho vinto nonostante il contesto negativo per la mia parte politica. Le parole forse non erano le stesse, ma il senso sì. Me le sarei risparmiate. Anche perché io parto da un presupposto: bisogna vincere, non stravincere. Altrimenti, anche se si è bravi, si corre il rischio di diventare antipatici.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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