Nonostante le torture Tonino Spazzoli non parlò – di Gabriele Zelli

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La testimonianza delle suore in servizio presso il carcere di Forlì

Nel 1944 tre suore appartenenti all’ordine delle “Ancelle del S. Cuore di Gesù Agonizzante” costituivano la comunità che nella sezione femminile del carcere di Forlì prestò assistenza a partire dal 1941 alle detenute. Dovettero affrontare molte situazioni delicate, difficili, drammatiche di quell’oscuro e tragico periodo che visse i momenti più crudeli dell’agonia della prepotenza nazifascista. Dal diario di Suor Pierina Silvetti, la superiora, le altre due erano suor Valeriana Collini e suor Elvira Ghirardi, si è potuto apprendere a qualche decennio di distanza una serie di informazioni su quei tragici avvenuti. Sicconme questa mattina a Coccolia, nel punto dove fu ucciso dai tedeschi é stato ricordato Antonio “Tonino” Spazzoli, vale quindi la pena ricordare le parti dei. Diario che lo riguardano, molto eloquenti nella loro essenzialità: “Con la discesa delle truppe tedesche in Italia, l’8 settembre 1943, cominciò per noi un vero calvario. Agli albori della primavera 1944 avemmo l’incarcerazione di tantissimi innocenti, tra cui molti sacerdoti, tutti responsabili di soli atti di carità (…). Fu poi la volta di Tonino Spazzoli, capo del movimento di liberazione di cui si dice che si sia mangiato, prima dell’arresto, un documento importante, contenente i nomi di gran parte degli appartenenti della formazione partigiana di cui faceva parte. Il povero Tonino doveva stare chiuso in cella ammanettato, senza sedersi né sdraiarsi, senza bere e senza mangiare fino a che non si fosse deciso a rivelare tutto e tutti. Era sorvegliato da due militi, alla sua cella era vietato avvicinarsi persino ai nostri agenti solo un detenuto venne adibito alle pulizie, con incarico di ritirare il “vaso”. I “vasi” erano molto alti, molto capaci, ed il detenuto due volte al giorno ritirava quello di Tonino per pulirlo e poi riportarlo. Quel vaso divenne l’unico mezzo per passare il nutrimento all’infelice ed il detenuto il ponte di collegamento fra noi e lui. Due volte al giorno preparavamo dei cordiali: due uova sbattute in brodo ristretto che la famiglia ci procurava col solito sistema. Mettevamo il cordiale in una bottiglia che facevamo sparire dentro la camicia del detenuto addetto il quale bussava alla nostra porta, con la scusa di portare roba occorrente. Prendeva poi il vaso per pulirlo e quindi introduceva la bottiglia riportando tutto in cella. Spazzoli appena richiuso, aiutandosi con le mani ammanettate, estraeva la bottiglia, toglieva il tappo con i denti, quindi beveva tutto il contenuto rimettendo il vuoto. Con lo stesso sistema mandavamo i farmaci per tenerlo su, in maniera che nutrito e curato, trovasse forza per resistere e tacere. Così per molti giorni che sembrarono anni. Il detenuto quando veniva a prendere e riportare la bottiglia ci diceva: Sorelle noi moriremo tutti e quattro insieme! E per miracolo sfuggimmo a questa morte! Intanto, nonostante le terribili battiture, Tonino rimaneva di sasso. Il giorno che fu accompagnato a vedere suo fratello Arturo, fucilato ed impiccato in Piazza Saffi, allorché gli intimarono di parlare per non fare la stessa fine, con fermezza dichiarò di non avere nulla da dire. A notte dello stesso giorno fu prelevato ed ucciso nei pressi di Coccolia. I nostri sacrifici non valsero a salvarlo!”.

Gabriele Zelli

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