Nuovi documenti sulle stragi nazifasciste in Romagna – di Gabriele Zelli


Dopo le celebrazioni di sabato 26 luglio 2014 a Pievequinta di Forlì e a Donicilio di Verghereto per ricordare le vittime dell’eccidio perpetrato dai nazifascisti per rappresaglia in seguito all’uccisione di un soldato tedesco, episodio mai chiarito in modo definitivo, stanno emergendo nuovi documenti dagli archivi. Come la lettera che l’8 luglio 1994 il dott. Rino Ghetti di Meldola scrisse all’allora sindaco di Forlì Sauro Sedioli per rammentare che nei giorni successivi sarebbe ricorso il cinquantesimo anniversario “della morte dei dieci uomini che furono barbaramente trucidati dalle SS nella zona di Pievequinta, alla cui memoria è stata eretta una lapide in via del Cippo”.
La lettera prosegue dando informazioni su quanto gli capitò nell’estate del 1944. Una testimonianza molto importante perché sui movimenti di prigionieri del carcere approntato dalle SS nel Brefotrofio di Forlì non esistono registri. Le SS presenti prima di arrivare a Forlì erano dislocate a Roma, che avevano dovuto abbandonare a causa dell’arrivo dei soldati americani, e si erano “distinte” per le inenarrabili torture operate sugli antifascisti nel carcere romano di via Tasso e per essere state fra i responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Pertanto grazie a questa lettera siamo a conoscenza che Ghetti è stato uno degli incarcerati. Scrisse che con due degli uccisi di Pievequinta Edgardo Ridolfi di Forlì e William Pallanti, figlio di italiani ma cittadino britannico, divise per molti giorni il ridotto spazio di una cella ricavata nello scantinato del Brefotrofio di Viale Salinatore. “Vicino alla nostra cella, continua la lettera, ve ne era un’altra ove era rinchiuso in isolamento Zoli Antonio, partigiano della Brigata Garibaldi, pure di Forlì. Ho ancora vivo il ricordo di quei momenti quando Ridolfi e Pallanti furono chiamati fuori dalla cella assieme a Zoli e capirono che erano stati condannati a morte. Vollero abbracciare me che ero il più giovane degli ostaggi tra gli otto rinchiusi in quella cella, perché se avessi avuto la sorte di poter tornare un giorno libero, potessi portare ai loro famigliari quell’abbraccio e le loro ultime parole; e questo io feci quando, finita la guerra, rientrai dalla Germania dove ero stato deportato”.
Il dottor Ghetti terminava la missiva specificando che non voleva procurarsi “nessuna pubblicità”, perché “un unico motivo è quello per cui ho scritto: affinché siano ricordati nell’anniversario del loro sacrificio coloro che, com’è scritto sulla lapide di via del Cippo, caddero perché la nostra Patria fosse libera”.
Del carcere politico forlivese delle SS tedesche ci ha lasciato una testimonianza l’avvocato Oreste Casaglia, che vi fu detenuto per quindici giorni, raccontando la quotidianità dell’orrore nel suo diario pubblicato dal Comune di Forlì. Egli fu uno dei pochi fortunati a essere liberato, mentre la stragrande maggioranza fu inviata nei campi di concentramento in Germania o alla morte nelle fucilazioni per rappresaglia. Furono prelevati da questo carcere tre dei dieci fucilati di Pievequinta, quattro dei fucilati di Russi (2 agosto 1944), i tre fucilati in via Rossetta di Bagnacavallo (27 agosto), i quattro impiccati di Branzolino (29 agosto), i sei impiccati di San Tomè (9 settembre). Nel mese di settembre il distaccamento delle SS in questione operò come reparto di eliminazione e segretamente uccise in tre diverse occasioni in via Seganti, nei pressi dell’aeroporto, oltre quaranta persone, fra queste diciassette di origini ebree in gran parte donne.

Gabriele Zelli

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