Agricoltura: crisi che viene da lontano. Ecco che fare

Serve innovazione varietale. Inutili le operazioni vintage. Il rischio è di avere enormi distese di seminativo

Non mi dispiace l’idea di Possibile di un Macfrut a cielo aperto da tenersi nel centro di Cesena. È chiaro, come dice Marco Casali, dovrebbe essere più Frut e meno Mac. Del resto qualcosa di simile era stato ipotizzato da Renzo Piraccini, presidente della Fiera, quando si cominciò a parlare del trasferimento di Macfrut. Inoltre un assaggio c’è stato anche nella primavera scorsa.

Sarebbe un’iniziativa forse più utile al centro che non all’agricoltura che, comunque, ne potrebbe trarre dei vantaggi.

 

In questo momento il comparto agricolo è il grande malato. È una situazione di difficoltà che viene da lontano e che ha messo radici molto prima dello scoppio della grande crisi che ha travagliato il mondo intero.

Il settore è cambiato in maniera radicale. All’inizio degli anni Novanta lo status più diffuso era quello del coltivatore diretto. C’era il boom della fragola, dei fagiolini raccolti a mano, della frutticoltura intensiva. Per garantire un buon reddito non era necessario molto terreno. Bastavano tre ettari, se coltivati bene.

 

Questo fino all’inizio del Duemila quando è cambiata la politica comunitaria che è andata nella direzione dell’apertura al mercato e riduzione delle protezioni (ritiri). E i prezzi dei conferimenti sono diminuiti. Il che ha portato ad un cambiamento radicale delle colture. Il fagiolino raccolto a mano è sparito. La fragola ha subito un grosso ridimensionamento, ora è prodotta soprattutto al sud e con varietà rifiorenti. Anche la presenza di produttori di pesche e nettarine è in costante diminuzione.

Adesso le aziende agricole hanno la necessità di essere specializzate e con una dimensione maggiore per poter fare un’economia di scala. Sono poi quelle che entrano a far parte di una filiera.

 

Il pericolo reale, però,  è che la nostra campagna cambi volto in modo radicale cosa che, per la verità, sta già succedendo. Con lo sviluppo dei contoterzisti  rischia di diventare una distesa di seminativo. In pratica grano, erba medica, sorbo, ecc. prendono il posto degli alberi da frutta che sono sempre un gran belvedere, ma nel periodo della fioritura sono uno spettacolo unico.

Il rimedio però non è il ritorno alla Bella di Cesena. Ha ragione il mio amico Cristiano Riciputi che domenica, sulla pagina dell’Agricoltura del Corriere Romagna, ha spiegato che sarebbe un’inutile operazione legata alla nostalgia.

 

Io sono cresciuto in campagna e quindi in mezzo alla Bella di Cesena. La mangiavo staccandola direttamente dalla pianta. Quindi ci sono molto affezionato. Era anche molto buona. Ma adesso non è più competitiva. Al limite può andare bene in qualche giardino. Ma stop.

Per essere competitiva alla nostra agricoltura serve innovazione varietale, non operazioni vintage.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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