Non ti girare, c’è un povero

Povertà. Parola che non piace, fa girare pagina e voltarsi dall’altra parte. Eppure un recente rapporto Istat presenta numeri su cui riflettere. Per esempio: in Italia un cittadino su 13 (in totale sono 4 milioni e mezzo di persone, il dato è riferito al 2015) si trova in condizioni di povertà assoluta. Significa che non può permettersi di comprare un paniere di beni ritenuti dall’Istituto centrale di statistica indispensabili a una vita dignitosa. Il 28% dei cittadini stranieri, secondo l’indagine, vive in tale condizione.
Il fenomeno è in crescita, perché nel 2014 coinvolgeva il 6,8% della popolazione, l’anno successivo il 7,6%. In linea di massima si sta peggio nelle grandi città, dove si concentrano le persone meno abbienti.
Altro concetto è quello di povertà relativa, che si calcola in relazione alla media nazionale. Si considera che facciano parte di tale fascia le persone che non possono permettersi di spendere circa 525 euro al mese. Sotto questo profilo l’Emilia-Romagna è la seconda regione italiana che soffre di meno, col 4,8% di “poveri relativi”, dopo la Lombardia (4,6%).
Cosa si fa per contrastare un problema che a questi ritmi rischia di diventare una piaga sociale? Si ha l’impressione che i governi, nazionali e locali, si affidino soprattutto a misure episodiche (come i voucher lavoro, gli 80 euro, le iniziative formative “mordi e fuggi”). Non si vedono progetti solidi, duraturi, che possano far invertire la tendenza. Prevale la retorica dell’austerità e i tagli al welfare sono spacciati come “riforme”. «Servono politiche per la casa e di sostegno al caro-affitti. Occorre agire sulla dispersione scolastica e considerare l’istituzione di un reddito di inclusione sociale», sostiene Caterina Cortese, responsabile delle politiche sociali della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, citata in un articolo di Jacopo Ottaviani comparso sul sito di Internazionale.

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