Si chiama TTIP e non è il Top

Si chiama TTIP ed è una sigla con cui sarà bene fare i conti. Si tratta del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti fra Europa e Stati Uniti, il cui negoziato è in corso fra l’Ue e il governo Usa. L’obiettivo dichiarato è rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra il vecchio continente e gli Usa.

Dai documenti ufficiali si stima che potrà far crescere l’economia europea di 90 miliardi. Il numero non tragga in inganno: è appena lo 0,05% del Pil europeo. Contro tale accordo si sta muovendo una campagna (http://stop-ttip-italia.net/), promossa da numerose associazioni (in Italia dall’Arci al Municipio dei beni comuni) che mettono in guardia sui rischi di tale intesa. Ci sono numerosi punti che devono preoccupare sia i cittadini che gli imprenditori. Il primo è l’abbassamento delle barriere non tariffarie, che riguardano gli standard di sicurezza e di qualità di aspetti sostanziali della vita di tutti i cittadini: l’alimentazione, l’istruzione e la cultura, i servizi sanitari, i servizi sociali, le tutele e la sicurezza sul lavoro. In molti di questi casi gli standard di garanzia attualmente vigenti in Europa saranno perlomeno ‘ammorbiditi’, per favorire la produzione delle grandi imprese transnazionali. Tutto a scapito della migliore industria (e dell’artigianato e della cooperazione) europea e italiana, molto più attenta a qualità e certificazioni ambientali.

A dir poco inquietante si profila poi un altro aspetto del TTIP. Tra i principali obiettivi del negoziato, c’è infatti la tutela dell’investitore e della proprietà privata, grazie alla costituzione di un organismo di risoluzione delle controversie. A tale arbitrato internazionale le aziende potranno appellarsi per rivalersi su governi ritenuti “colpevoli” di aver ostacolato i loro interessi: caso da manuale dello 0,1% (multinazionali e grandi finanziarie) che assalta il 99,9% (i cittadini). Conseguenza possibile: qualsiasi regolamentazione pubblica che tuteli i diritti sociali, economici ed ambientali, col pretesto di salvaguardare competizione e investimenti, rischierà di soccombere dinanzi alle esigenze dei colossi aziendali e dei mercati.

Articolo pubblicato sul n.3/2014 della Romagna Cooperativa

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