L’uguaglianza non deve essere formale, ma reale

L'ultimo post di Gian Paolo Castagnoli, giornalista cesenate

CESENA. Questo il post che Gian Paolo Castagnoli, giornalista cesenate, questa mattina ha caricato nella sua pagina Facebook.

Il problema non è Pillon, che ormai è una caricatura di se stesso e ho l’impressione che spesso provochi semplicemente per fare parlare di sé, perché è davvero impossibile essere così ottusamente retrogradi. Sul suo ultimo commento sessista, l’ennesimo per classificare quello che secondo lui sarebbe “normale” e quello che invece sarebbe “contronatura” per i maschioni e le femminucce, ha già detto tutto Lorenzo Tosa: “L’unica cosa che in natura di sicuro non esiste è che sia un senatore. Che qualcuno lo abbia persino eletto. E che noi tutti lo paghiamo per questo”. Il problema, più sottile ma grave, è il dibattito che si è aperto sulla misura che ha scatenato quelle farneticazioni. Tutto è nato infatti da un incentivo introdotto dall’Università di Bari: la riduzione del 30% delle tasse alle ragazze che si iscrivono a corsi di laurea tecnici scientifici.

Una reazione, se si hanno parecchie tare, può essere quella alla Pillon, turbato da questo provvedimento, perché lo sanno tutti che “le femmine sono più propense a materie dell’accudimento, come ostetricia e i maschi a discipline come l’ingegneria mineraria”. Ma c’è anche chi fa critiche un po’ meno rozze e stupide. Sono quelle che ciclicamente tornano quando si discute di “quote rosa” e dintorni. Sono condivisibili agevolazioni basate sul genere? Io credo che astrattamente non lo siano ma che nella sostanza, e temporaneamente, lo siano. Il perché ce lo hanno spiegato i nostri illuminati padri costituenti in un meraviglioso articolo della Carta che indica i valori fondanti del nostro vivere assieme e gli obiettivi di quella Repubblica democratica che abbiamo festeggiato ieri.

È l’articolo 3, quello sull’uguaglianza, e in particolare il secondo comma, che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In una magistrale lezione all’Università, che ricordo ancora bene anche se sono passati trent’anni, il mio professore di diritto costituzionale spiegò che quel secondo comma chiariva che non ci si può accontentare dell’uguaglianza formale (quella davanti alla legge), proclamata all’inizio di quell’articolo. L’obiettivo deve essere quello di creare un’uguaglianza sostanziale, o almeno una maggiore uguaglianza non solo sulla carta ma nella realtà. E certe volte, per farlo, servono misure pubbliche che formalmente creano disparità. Ecco perché sbaglia chi in questi giorni sta dicendo che lo sconto deciso a Bari discrimina i maschi che si iscrivono alla stessa università.

Sbaglia perché dimentica il secondo comma di quell’articolo 3. Quel provvedimento serve a rimuovere l’ostacolo che è stato messo da cervelli ristretti e con pulsioni maschiliste, di cui Pillon è una macchietta ma che sono tanti, e che hanno prodotto una distorsione che non è affatto naturale: quella per cui sono pochissime le ragazze che scelgono studi in ambito tecnico-scientifico. Non c’è proprio niente di naturale in questo, e lo dimostra non solo la Cristoforetti, tanto citata in queste ore, ma scienziate come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack, solo per ricordarne due. C’è un enorme ostacolo di ordine sociale e “culturale” da rimuovere per far sì che possano esserci più Cristoforetti, più Hack, più Levi Montalcini, anzi semplicemente più scienziati e scienziate di valore, senza discriminazioni di genere. Discriminazioni che non stanno in quella riduzione delle tasse ma nei fatti, nelle statistiche sul numero di laureate in certe materie che troppi continuano a indicare come “robe da maschi”. All’università di Bari hanno deciso di dare una spintina a quel macigno. Tutto qui. Lo stesso ragionamento vale per certe tesi assurde che sento sul Ddl Zan: certo che il traguardo finale deve essere quello di non averne un giorno più bisogno, capendo finalmente che non esistono identità di genere e orientamenti sessuali giusti e sbagliati, ma quel giorno non è purtroppo oggi e quindi vanno rimossi i tentativi di chi ostacola questa conquista di civiltà alimentando l’omotransfobia. Evviva l’articolo 3 ed evviva la Costituzione e la Repubblica, anche il giorno dopo la sua festa.

9Tu, Giuseppe Zuccatelli e altri 7Commenti: 10Mi piaceCommentaCondividi

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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