Uncinetto sui muri di Shkodër

Nuova puntata di "Faxian taccuino di viaggio" di Jacopo Rinaldini

Continua il viaggio di Jacopo Rinaldini attraverso le pieghe dell’Albania. Oggi “Faxian taccuino di viaggio” ci fa conoscere Nermin Shurdha, uncinetto sui muri di Shkodër (Scutari) e con lei i problemi del mondo della cultura.

Profondissime sono le pieghe di una società che sta mutando pelle, arrotolata in una sorta di manicheismo che pone sotto luce divina la proiezione fosca di un benessere effimero, senz’anima, l’immagine di un Occidente mai così lontano e relega nel grigiore di periferie bulimiche il ricordo di ciò che è stato; immergendomi nel mare mosso della vita, di quella vita che mastica un’altra lingua, ho visto venirmi incontro visi in cui le rughe della pelle sono diventate i sorrisi a mezza bocca di angoscia sorda, la quale s’infrange contro la barriera di un sentimento umano di solidarietà vivace, al di là del tempo, che sopravvive con vigore alla prostrazione e allo scoraggiamento; sotto la polvere, si cela un mosaico grande quanto i cuori delle anime che lo compongono. 

Un tassello di questo mosaico si chiama Nermin Shurdha: fa parte di quella categoria di uomini e donne in grado di far sbocciare fiori di ghiaccio sotto al sole d’agosto.

E’ una artista che sta rivestendo Scutari, città situata nel Nord dell’Albania, di colori nuovi, di una specie di velluto interiore in grado di arricchire l’esistenza dei suoi concittadini. 

“Sono nata e cresciuta a Scutari e non ho mai voluto abbandonare la città nemmeno per motivi di studio. Ho iniziato a disegnare all’età di due anni: questa passione l’ho ereditata dalla famiglia di mio padre. Lui e le mie zie disegnavano perennemente: erano talenti sfolgoranti. Ho camminato nel solco tracciato da mio padre e non l’ho mai lasciato.

Dal momento che in Albania, durante la mia giovinezza, era impensabile poter sbarcare il lunario con la mia attività artistica ho deciso di intraprendere un percorso di studi di economia presso l’Università di Scutari. Ciononostante, ho perseverato con il disegno: i momenti che dedicavo alla mia vocazione erano i pomeriggi dopo il lavoro o le lezioni. Il tempo libero a mia disposizione era (e lo è tuttora) catalizzato dalla lettura e dal colore”.

Qual è il lavoro, il mestiere, che svolge un’artista come lei?

“Al momento, lavoro per una associazione Italiana, “Vis Albania”, concentrata nello sviluppo di aree rurali dell’Albania del Nord. Tale attività mi sta aiutando enormemente, poiché trascorro gran parte del mio tempo in remoti e pittoreschi villaggi, che hanno come scenografia paesaggi ameni, divini, i quali sono fonte d’ispirazione per la mia arte”.

Dipinge copertine di libri sui muri dei palazzi edificati durante il periodo comunista. Quale legame c’è tra pittura in generale e letteratura? 

“Tutti i miei libri preferiti sono presenti nel murales che ho dedicato all’universo della carta stampata: sono due mondi molto simili, i quali si influenzano, per lo meno nel mio caso, vicendevolmente. La mia  libreria, composta da oltre seicento volumi, è una delle fonti, una delle più importanti, da cui traggo ispirazione”.

Può un artista essere se stesso in Albania? Le persone attraverso quali lenti osservano le sue opere?

“La società albanese  è divisa in due macro gruppi: quelli che apprezzano e valorizzano le novità, specialmente se si tratta di creatività artistica e coloro quali, invece, non sono aperti ai cambiamenti. Per mia immensa fortuna ho sempre avuto a che fare più con i primi che con i secondi. I murales, a Scutari, sono qualcosa di mai visto prima d’ora; è probabilmente il motivo per cui nessun fondo è mai stato stanziato per sostenere questo ramo dell’arte figurativa.  A Tirana e a Durazzo, d’altra parte, i murales sono la normalità: si tengono perfino eventi e non poche sono le iniziative volte a sostegno di questo mondo. E’ una forma di “conservazione” del patrimonio architettonico”.

Si pone quasi come una sorta di messaggera della creatività, poiché porta il colore laddove, per un motivo o per un altro, non c’è mai stato il tempo per dedicarsi ad esso. Avverte una forma di responsabilità? Insomma, è entrata a far parte del mondo culturale della sua città e in un certo senso ne ha sconvolto le regole, ha innovato e ha prodotto qualcosa di utile, oserei dire di terapeutico per la collettività.

“Essendo Scutari una capitale dell’arte e della cultura albanese sin dall’antichità, vorrei non dover sostenere una responsabilità così grande. Del resto, Scutari ha una importante scuola d’arte e molti sono i giovani talentuosi che vorrei si dedicassero ai murales, magari creando una corrente, anche perché tale luogo, negli ultimi anni, si sta riempiendo di enormi palazzi pieni di vita, di gente, di storie: il cemento aumenta, però al contempo aumentano le facciate su cui potersi esprimere. Una strana forma di compensazione”.

Il primo murales, il primo amore. 

“Il primo murales risale a più di 10 anni fa e i soggetti erano fiori e farfalle; è stato un esperimento eseguito nella casa delle mie cugine. Non è un caso se ha visto la luce nella stanza in cui trascorrevamo tutto il nostro tempo: una porta che permetteva di accedere ad una dimensione “altra”, calda, fiabesca. In quell’attimo, tuttora cristallizzato davanti ai miei occhi, ho compreso che non avrei più smesso. E così è stato”.

Ha un legame stretto con Scutari? In un’altra città dell’Albania la sua produzione sarebbe stata diversa?

“Non riuscirei mai a dare di piglio all’estro e alle suggestioni interiori all’infuori del luogo che letteralmente vivo. Ciò è imputabile al fatto che le mie opere, a Scutari, sono una novità: giungono numerose le richieste per la realizzazione di murales e, sovente, i committenti non hanno un’idea chiara di ciò che vogliono… Affidano il muro, il quale si tramuta in grande tela ruvidissima, alle mie mani e mi concedono massima libertà. E’ un salto nel vuoto: la speranza è quella di poggiare il piede su una nuvola raminga che passa di lì per puro caso. In quel momento preciso posso esprimermi, aprire lo scrigno della fantasia, lasciarmi guidare dall’inventiva; eppure, l’attimo di libertà grava duramente sulle mie spalle, perché sento di dover mettere in essere qualcosa che colpisca me e gli altri contemporaneamente.  

A Tirana e Durazzo non potrei avere questo privilegio e il motivo è presto detto: sono due città in rapidissima espansione e, purtroppo, da quelle parti anche l’arte si tramuta in “business”. Piace ciò che si vende e si vende ciò che piace. L’artista è un esecutore e deve corrispondere unicamente al gusto delle masse o di chi lo paga”.

Un’artista albanese, oggigiorno, di cosa necessita? 

“I giovani albanesi si stanno allontanando dall’Albania a causa della mancanza di lavoro e di prospettive. Partono e si lasciano il vecchio mondo alle spalle. Tra costoro si celano anche parecchi artisti. Non esiste un vero e proprio mercato dell’arte vista la quasi totale mancanza di fondi; di conseguenza, non molti possono permettersi di spendere, di investire, di collezionare opere d’arte.  Lo Stato, poi, non fa la sua pare: non sostiene gli artisti, non incanala dei fondi adeguati e manca di sensibilità. L’epilogo di questa triste storia è uno solo: scompaiono gli artisti… Quasi fossero lampare che si affievoliscono in mezzo al mare. Lentamente si spengono una ad una.  La cultura è vista come un universo senza futuro, destinato a collassare:  troppi giovani pieni di talento, scelgono di intraprendere facoltà di economia o giurisprudenza, commettendo violenza contro se stessi e la loro natura, poiché credono di assicurarsi il futuro attraverso scelte infelici eppure necessarie”.

La terra delle aquile è dinanzi ad un bivio: tradizione o modernità ad ogni costo. Il Paese viene spinto con prepotenza tra le braccia di chi lo vuole spezzettare e ricostruire a propria immagine e somiglianza, condannandolo all’anonimato e alla desertificazione sociale.  A quale corrente appartiene? A quella smaniosa di modernità oppure i suoi murales sono i murales di un’artista che resiste e tenta di salvaguardare la poesia che fa dell’Albania un luogo così particolare? 

“La modernità urlata non fa per me. Voglio mostrare a tutti lo sterminato patrimonio composto dalle belle tradizioni che abbiamo in Albania, le quali spaziano dai costumi, agli usi, al cibo, alla storia. Nel periodo del “Lockdown” ho dipinto un murales: “Il Bacio” di Gustav Klimt (“Der Kuss”). La coppia, i protagonisti, il sale dell’opera, erano vestiti con costumi tradizionali dell’Albania del Nord. La nostra è una tradizione fatta di innumerevoli iridescenze: sarebbe un delitto perdere tutto questo, perché l’ammodernamento, prima o dopo, è destinato ad incrinarsi. La modernità è temporanea e  il destino, per noi tutti, è uno: il ritorno alle radici”.

Ho aperto una piccola breccia nel muro, una finestra, e ho abbellito il davanzale con i fiori del mio campo. Gezim Çela, cantante albanese in voga negli anni Ottanta e Novanta, cantava: I dua lulet ne dritare, se jam i ri e mi do zemra, ossia: Amo i fiori alla finestra, sono giovane, il mio cuore ama: il mio cuore ama il punto luminescente che rischiara gli oggetti di uso quotidiano. 

Ho la certezza che la dimensione entro la quale mi muovo è viva ed è destinata a sopravvivere ai telefoni Apple, ai social media, a Netflix e all’irrequietezza figlia di un consumismo stupido e cattivo. Sulla mia guancia, la carezza di mani sporche, logorate, che hanno appena terminato di lavorare la terra.

Nell’aria si spande odor di miele e da dietro l’angolo odo le parole della regina Rosafa. 

Sogno di correre in un campo di colori, custodito da pareti su cui sono ricamati i murales di Nermin Shurdha.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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