Per i 700 anni di Dante bisogna valorizzare questo gioiello custodito a Forlì

Come ha fatto Forlì ad entrare in possesso di un'opera di tale valore e importanza? Tutto si deve alla munificenza e generosità di uno dei suoi cittadini illustri e benemeriti: l'ing. Rambaldo Bruschi senza dimenticare sua moglie, Delfina Cima. Bruschi fu direttore generale della Fiat e mentore dell'avv. Gianni Agnelli. Alla sua morte lasciò tutto il suo ingentissimo patrimonio - immobili, titoli, fondi, opere d'arte... - all'ospedale di Forlì.

Durante le celebrazioni dantesche per i 700 anni della morte del sommo poeta, che si apriranno a Ravenna il prossimo 5 settembre con la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e che vedono Forlì in primo piano con una rassegna promossa da Fondazione Cassa dei Risparmi e Galleria degli Uffizi, in calendario  dal 12 marzo al 14 luglio 2021 ai musei San Domenico, mi auguro si possa mettere in mostra un vero e proprio gioiello nel settore dell’editoria di grandissimo pregio.

Si tratta di un autentico tesoro custodito presso la biblioteca del capoluogo romagnolo e da non molti conosciuto: “La Divina Commedia” illustrata da Amos Nattini. E’ una monumentale edizione stampata a torchio su carta “a mano” con caratteri ideati dall’artista stesso, corredata da 100 litografie a colori realizzate tra il 1912 e il 1941.
Un’opera dal valore culturale incommensurabile e dal valore venale, se proprio si vuole essere prosaici, di svariate centinaia di migliaia di euro.

Ma come ha fatto la città romagnola ad entrare in possesso di un’opera di tale valore e importanza? Tutto si deve alla munificenza e generosità di uno dei suoi cittadini illustri e benemeriti: l’ing. Rambaldo Bruschi senza dimenticare sua moglie, Delfina Cima. Bruschi fu direttore generale della Fiat e mentore dell’avv. Gianni Agnelli. Alla sua morte lasciò tutto il suo ingentissimo patrimonio – immobili, titoli, fondi, opere d’arte… – all’ospedale di Forlì. Tra i beni ricevuti in dono anche la monumentale opera illustrata da Nattini. La moglie Delfina gli sopravvisse per diversi anni e fu fedele esecutrice delle volontà testamentarie dell’amato marito. Dopo vari ricorsi di carattere giudiziario volti a bloccare la destinazione pubblica del lascito – tutti rigettati – l’eredità Bruschi-Cima diventò di proprietà del nosocomio forlivese. Credo sia giusto citare la dirigenza dell’allora Ausl forlivese (siamo alla fine degli anni ’90) che si adoperò affinchè fossero rispettate le volontà di Rambaldo e Delfina: il direttore generale Lino Nardozzi, il direttore amministrativo Francesco Soldati e l’ufficio stampa con Leonardo Michelini che si fece parte attiva per la conservazione dei preziosissimi volumi presso le civiche raccolte forlivesi.

L’opera

Sul foglio di guardia l’opera riporta la scritta a stampa :”esemplare numero seicentocinquantadue per l’ing. Rambaldo Bruschi”, ed è costituita da tre sontuosi volumi, uno per ogni cantica, di grande formato (68×50) ricoperti in pelle di vitello sbalzata a mano. La rara edizione, stampata in mille copie numerate, contiene cento tavole a colori realizzate con una sofisticata tecnica litografica. Amos Nattini fu convinto e spronato a realizzarla dal poeta Gabriele d’Annunzio e ci mise più di vent’anni a terminare le cento “imagini”, come egli le chiamava.


Grande conoscitore del poeta fiorentino fu abilissimo interprete della difficile tecnica dell’acquerello (solo il primo canto del Purgatorio è ad olio). I suoi dipinti sono minuziosi e delicati e consentono di avvicinarsi alla “Divina Commedia” con uno sguardo che ci riporta ai grandi maestri del passato. Il comune denominatore delle tre cantiche resta il grande amore per la ricerca anatomica di stampo michelangiolesco. Nattini morì ultranovantenne a Parma nel 1985.


Durante le prossime celebrazioni dantesche mi piacerebbe venisse adeguatamente valorizzata questa straordinaria opera d’arte magari ricordando i benefattori che la donarono alla nostra comunità.


E ricordando anche che la cospicua elargizione venne compiuta con la più assoluta discrezione, secondo lo stile sobrio e severo di Rambaldo. Quando morì, il 18 agosto del 1966, in adempimento a sue precise disposizioni, il funerale si svolse alle 6 del mattino con la sola presenza delle persone care.
Come unica contropartita chiese che l’Ospedale provvedesse alla cura in perpetuo della tomba di famiglia nel cimitero monumentale di via Ravegnana. Non molto se si considera che l’importo stimato di tutta l’eredità ammontava a circa 11 miliardi delle vecchie lire.

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