Ma dove vogliamo andare

Gli ultimi dati ci lasciano esterrefatti

Cado dalle nubi. Scimmiottare il titolo di un famoso film di Checco Zalone è quanto mai indicato per descrivere la situazione che stiamo vivendo. In Italia si può morire di maltempo. Ormai è un dato acclarato. Succede con una frequenza piuttosto alta che si debbano registrare delle vittime in zone devastate da eventi climatici fuori dalla norma.

Si potrebbe pensare che il tutto sia determinato dall’eccezionalità degli eventi. È vero, ma fino ad un certo punto. Un sano lavoro di prevenzione potrebbe evitare che anche in caso di precipitazioni straordinarie si debba vivere una situazione di emergenza.

Però servono i soldi. Anche questo è vero. Ma qui casca l’asino. Oggi le citazioni si sprecano. Leggendo un articolo di Antonio Fraschilla apparso nel fine settimana su repubblica.it si resta basiti. Scrive: “In Italia si muore di maltempo, almeno 208 le vittime delle alluvioni dal 2000, mentre dei 9 miliardi stanziati dal 2015 per opere idrauliche, 7,5 rimangono nei cassetti della burocrazia. Soldi dispersi in mille rivoli tra Stato, Regioni, ex Province e strutture speciali”.

È demoralizzante. Innanzitutto perché si rimandano lavori che sarebbero utili per la sicurezza. In secondo luogo perché ci fa capire la situazione che stiamo vivendo in Italia e quanto la burocrazia ci stritoli. Qualche tempo il presidente nazionale di Confcommercio disse che tra il 2009 e il 2018 la burocrazia ci è costata quattro punti di Pil. Ed ha aggiunto che il modello da prendere ad esempio è quello tedesco.

Ed allora salta mente quello che è successo nell’ultima estenuante trattativa europea. I paesi rigoristi hanno fatto il gioco duro per cercare di raggiungere gli obiettivi che si erano prefissi. Ed hanno sfondato una porta aperta soprattutto perché c’era l’Italia. E non hanno tutti i torti a non fidarsi. E il dato riportato da Fraschilla è l’ennesima conferma.

La cosa assurda è che c’è chi si lamenta perché l’Europa vuole controllare come spenderemo quei soldi. Innanzitutto è il minimo che possa fare. Perché, evidentemente, c’è qualcuno che ancora non ha capito che non si va molto lontano con la politica dei contributi a pioggia o dei pagamenti a piè di lista. Inoltre per fortuna ci sono le condizionalità. Avendo il fucile puntato è l’unica possibilità che abbiamo di fare quelle riforme che sono fondamentali per cambiare un paese (il nostro) dalle fondamenta che, poi, è l’unica strada per evitare di andare a fondo e se succedesse scordiamoci che ci sia chi torni a lanciarci un’altra ciambella di salvataggio.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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