Non c’è futuro per i giovani

Troppo bassi gli investimenti per ricerca e innovazione, nel medio lungo termine non saremo competitivi

È azzardato dire che non c’è speranza per il futuro, ma facciamo di tutto per complicarci la vita. Il problema è che sono del tutto sottovalutati aspetti fondamentali per la crescita del sistema paese. Soprattutto gli investimenti in ricerca e innovazione, quelli che fanno crescere le imprese, in particolare quelle che operano nei settori ad alta tecnologia, e le rendono competitive in un sistema globale. Insomma, l’abc per la crescita economica.

I benefici non sarebbero circoscritti alle singole aziende: l’ampliarsi dei settori ad alta tecnologia aumenterebbe l’efficienza produttiva di tutto il sistema. Emerge dalla ricerca presentata al Forum del  Comitato Leonardo. In Italia, seconda manifattura d’Europa, abbiamo raggiunto risultati importanti: siamo il terzo paese per fatturato nella meccanica strumentale con oltre 49 miliardi di euro, sesto al mondo per numero di robot industriali, nascono nel nostro paese oltre 10mila start up innovative e leader nel biotech della salute, nel 2018 sono stati registrati oltre 4400 brevetti. Ma il 60 per cento della spesa in ricerca e sviluppo arriva dal mondo delle imprese. 

Poi le note negative. Il rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e pil vede l’Italia con cifre inferiori rispetto agli altri paesi industrializzati Ue: siamo all’1,3%, contro il 3% della Germania, il 2,2 della Francia e il 2,1 della Ue a 28 paesi. Significa che, all’anno, la Germania investe circa venticinque miliardi più di noi. Ma dove vogliamo andare? È chiaro che medio/lungo periodo siamo perdenti.

L’obiettivo invece sarebbe coniugare innovazione e crescita con l’interesse generale. È questa la grande sfida del paese. Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, ha detto a Il Sole 24 Ore (articolo di Nicoletta Picchio) :”Abbiamo un 20% di imprese eccellenti, un 60% in fase di transizione e dobbiamo aiutarle a fare il salto di qualità”

Quello che la politica (o certa parte) non pare capire è che finanziare la ricerca non è un

incentivo, ma una strategia per avere un’industria ad alto valore aggiunto, alta produttività e alta quantità di investimenti. Del resto non è una novità che innovazione, competitività ed export vadano a braccetto. Lo testimoniano i dati: l’economia italiana vive per il 32% di export, innovazione e internazionalizzazione. Quindi, un circolo virtuoso accrescerebbe l’ eccellenza dell’ offerta.

Da una ricerca emerge che le aziende ad alta tecnologia investono il 12% dei ricavi in ricerca. Ma da sole possono fare poco. Serve più supporto pubblico. Dal forum è emerso che ci si dovrebbe muovere in cinque direzioni: approccio di sistema alle politiche pubbliche in ricerca e innovazione; garantire un flusso di investimenti con un orizzonte di medio-lungo periodo; avere mstrategie finalizzate ad un obiettivo; massimizzare il ritorno dei programmi nazionali ed europei; sviluppare una piattaforma industriale europea. 

Il problema è un altro: questo non è un tema popolare. Non riempire le piazze e non porta voti. Ma fino a quando ci potremo permettere una politica che ragiona solo con la pancia?

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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