Il 170esimo anniversario della Trafila Garibaldina / secondo capitolo

Il percorso nella storia

Nella notte tra il 14 ed il 15 agosto Giuseppe Garibaldi con il Capitan “Leggero”, accompagnati dai patrioti ravennati, tra i quali Antonio Piazzi, arrivano in ritardo all’appuntamento concordato con gli uomini della trafila forlivese che li aspettavano nei pressi del Cimitero Monumentale di Forlì. Il ritardo è dovuto ad una rottura ad uno dei due biroccini nei dintorni di Coccolia ed al tempo impiegato nel fallito tentativo di porvi rimedio. A causa di questo ritardo, all’appuntamento non c’è più nessuno. Antonio Piazzi, rimasto da solo con i due ricercati li fa nascondere in un campo di granoturco presso la Chiesa dei Cappuccinini appena fuori le mura della città, e va in cerca di aiuto. La buona sorte lo soccorre. È appena scoppiato un incendio alla Locanda della Posta. Il Piazzi approfitta della confusione. Entra in città. La porta è ancora aperta causa l’incendio. Incontra finalmente Carlo Capaccini, l’uomo che ha fissato l’appuntamento presso il Cimitero ma che non può muoversi da casa dopo il calar del sole perché precettato. Capaccini allora fa rintracciare Pio Cicognani, reduce della Repubblica Romana. Nonostante la notizia delle fucilazioni appena eseguite di vari garibaldini catturati tra i quali Ciceruacchio, i suoi due giovanissimi figli e Don Stefano Ramorino, Cicognani trova in Tomaso Gori la persona che accetta di ospitare i due fuggiaschi nella propria casa per tutto il 15 agosto, anche allora giorno di festa.
Purtroppo oggi la casa non esiste più. Probabilmente sull’edificio era stata posta una lapide con questa scritta: DA INESORABILI IRE PERSEGUITATO / QUI RIFUGIÒ GIUSEPPE GARIBALDI / IL GIORNO 15 AGOSTO 1849.
Al suo posto in Viale Matteotti, 75, sul palazzone citato una lapide, con un linguaggio d’altri tempi, testimonia il luogo e l’evento: COME GLI ANTICHI LAMPADIFERI / RAVENNA TRASMISE A FORLÌ / CHE CON CURA GELOSA LA PROTESSE / LA NOTTE DEL XV AGOSTO MDCCCIL / NELLA CASA ZATTINI GORI SOSTITUITA DA QUESTO PALAZZO / LA ROSSA FIACCOLA DELLA LIBERTÀ / CHE EBBE NOME GIUSEPPE GARIBALDI / PER RICONSEGNARLA Al PRIMI VARCHI D’APPENNINO / A DON GIOVANNI VERITÀ / ED OLTRE I PASSI MONTANI / ALLE FUTURE FORTUNE D’ITALIA / Q.M.P. / XXI LUGLIO MCMLVII.
La costante tradizione, riportata dall’Abate Giovanni Mini, narra che, mentre la Cavalleria tedesca traeva al pozzo (esistente nel cortile della casa Zattini Gori, prospicente la camera, dove alloggiavano Garibaldi e Leggiero) ad abbeverare verso sera i cavalli, i profughi, dagli spiragli della persiana, li guardavano.
Garibaldi ricorda brevemente ma positivamente questo giorno a distanza di più di trent’anni: “Da Forlì, ove passammo una notte, ospitati in una casa di brava gente, seguimmo poi l’Appennino accompagnati da guide”. E una delle guide era considerata la migliore possibile: Giovanni Maltoni, detto “Gnarata, di professione “spallone”. In altre parole forse il miglior contrabbandiere tra lo Stato Pontificio ed il Granducato di Toscana. Conosceva ogni angolo possibile del territorio tra Forlì e Terra del Sole e soprattutto il confine di stato che allora correva dove adesso è il confine amministrativo tra i comuni di Forlì e Castrocaro.
La sera stessa del 15 agosto i due fuggiaschi devono lasciare Casa Zattini Gori per tentare di passare il confine e trovare un luogo più sicuro, individuato da Pio Cicognani nel Palazzo del Diavolo, o Palazzo Conti, che ancora fa bella mostra di sé sulla strada di Ciola che da Terra del Sole conduce al Castello di Monte Poggiolo. Non sappiamo con certezza il percorso seguito da Garibaldi quella notte. I testimoni oculari che avevano partecipato attivamente alla trafila in questo tratto di territorio ci raccontano due storie diverse, ambedue piene di dettagli molto convincenti. Sono concordi solo nel dirci che il trasferimento avvenne quella sera stessa e che il piccolo gruppo arrivò al Palazzo del Diavolo attorno alla mezzanotte.
L’abate Giovanni Mini scrive: “Nella notte dello stesso 15 agosto (mercoledì, ore 11 ½ circa) accompagnati i profughi dallo Zattini e dal Cicognani in una vettura chiusa, noleggiata dal vetturino Matteo Mandolesi, tenendo la strada di circonvallazione, conducente dalla Casa Gori alle porte di San Pietro e di Schiavonia della città, e sulla quale erano stati mandati in vedetta Giovanni Maltoni (Gnarata), Antonio Guardigli, detto Peritè, e Giovanni Lotti, detto Stanga, dopo di avere oltrepassato il Ponte di Schiavonia, presero la via regia per la nostra Romagna Toscana (Valle del Montone), che si dirama dalla postale Forlì-Faenza a mano sinistra, senza che la sbiraglia e le spie se ne avvedessero.
In nota, in calce alla pagina, aggiunge: “Questi particolari furono da noi stessi raccolti dalla viva voce del signor Pio Cicognani”. Poi prosegue nel racconto: “Giunti presso la Dogana pontificia della Rovere sostarono; discesero Garibaldi e una delle due guide (Cicognani) facendo continuare Leggiero coll’altra (Zattini) nella vettura. Al rumore della carrozza il finanziere di piantone uscì dalla caserma doganale; diede leva alla robusta ribalta, che teneva da una parte all’altra abbarrata fa Strada Regia; procedette alla consueta visita, e, ribassandola di poi, ordinò al vetturino di proseguire, e si ritirò nell’ufficio di guardia. Intanto Garibaldi e la sua guida, che a passo lento erano pervenuti all’imboccatura della strada, conducente alla Cosina, voltarono cautamente in essa; s’introdussero nell’aia del podere denominato la Palazzina dei signori Balducci presso la stessa dogana; attraversarono per poche pertiche il campo; ripresero la via dapprima interrotta, e, risalendo sulla vettura, continuarono il viaggio cogli altri fino alla campestre abitazione del Bassetti, il quale vivamente commosso e riverente li accolse col più fervido entusiasmo, proferendosi, fino d’allora di trattenerli presso di sé finché sarebbe a loro piaciuto a costo pure della vita. Garibaldi gli strinse ripetutamente la mano e in quel momento, all’orologio della vicina Terra del Sole suonava la mezzanotte e un quarto. I dodici rintocchi furono contati, sulla soglia della porta di casa, dallo stesso Garibaldi, come più volte ci ebbe narrato il Bassetti.”
Giovanni Mini, figlio di Francesco che era stato testimone oculare e protagonista dei fatti narrati, è al corrente dell’altra versione dei fatti, già pubblicata l’anno dopo la morte di Garibaldi.
“Dalle cose fin qui narrate chiaro apparisce inesatta la notizia riferita dal Giornale l’Unione Liberale di Forlì (2 giugno 1883, An. Il, N. 43), che i due profughi venissero condotti all’abitazione del Bassetti da Giovanni Maltoni (Gnarata), da Stanga e da Peritè, facendoli dalla casa Gori passare per la via di circonvallazione presso la Polveriera di Porta Ravaldino per sentieri remoti, attraverso i campi e guadare i fiumi Rabbi e Montone.”
Edoardo Ceccarelli preferisce la versione già esposta dall’Unione Liberale, ritenendo che “il buon Abate Giovanni Mini” sia stato ingannato da Pio Cicognani.
“…noi invece abbiamo ricostruito l’episodio della fuga sulla narrazione fatta, all’avv. Pio Poletti di Ravenna, da Giuseppe Savini, su quella di Giovanni Maltoni (Gnarata) detta al Prof. Giuseppe Mazzatinti di Forlì e su di un articolo di Fanny Manis pubblicato nella Rivista d’Italia, anno 1911, volume lII, pag. 862.”
Vediamo questo racconto convincente almeno quanto quello del Mini e molto, forse troppo, preciso nei tempi e nei luoghi: “Alle ore 21,30 circa, Garibaldi e Leggiero, salutati il Gori e alcuni amici che ivi alla spicciolata s’erano adunati per rivedere il grande Condottiero, partirono insieme con Tomaso Maltoni, detto “Masotti” merciaio e con Baccarini Giuseppe, cocchiere della famiglia Sassi. Passarono inosservati col biroccino a rete molto vicino agli austriaci accampati nella piazza del Nord (ora Piazzale della Vittoria). Per la via che costeggia il giuoco del pallone (Piazzetta Sferisterio tra Viale Corridoni e Via Porta Cotogni), giunsero ben presto di fronte al torrione della polveriera della Rocca di Ravaldino dove, puntualissimi, stavano ad attenderli Gnarata e Piriten. Avvenuta la consegna, Masotti e Baccarini tornarono indietro e i due “banditi” guidati da Gnarata e seguiti, a breve distanza, da Piriten, si misero in cammino per la strada maestra [Viale dell’Appennino] ora dirigendosi verso le Case Caiossi. Pochi metri prima del Mulino di Vincenzo Tassinari, Gnarata voltò a destra e, passato il piccolo ponte sul Canale di Ravaldino, fu nella stradicciuola a sinistra del canale stesso (Via Bertarina). Arrivato prestamente nelle vicinanze della casa del colono Calissen (la casa non esiste più ndr), ecco dal folto di una macchia di robinie accendersi una tenue bianca fiammella; poi un’altra; un’altra ancora! Il fido Stanga dava a Gnarata il segnale di “via libera”.

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Gabriele Zelli

Gabriele Zelli è nato a Forlì il 5 marzo 1953. Da circa trent'anni si occupa in modo continuativo di cultura, sport e di attività sociali. Per Romagnapost, insieme a Marco Viroli, cura una rubrica intitolata "pillole forlivesi" dedicate alla storia della città. 

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