Gli emigranti siamo noi

Secondo l'Ocse siamo l'ottavo paese di provenienza dei nuovi immigrati. Fuga perchè manca l'investimento sulla ricerca

Il tarlo rodeva da tempo, ma dalla scorsa estate, dopo che per alcuni giorni ho visitato Edimburgo, è diventato irrefrenabile. Ho verificato che nella capitale scozzese ci sono molti giovani italiani (la stragrande maggioranza del nord) che vi si sono trasferiti per lavoro. Allora mi sono chiesto: non è che siamo tornati ad essere un paese di emigranti? Pare che sia proprio così.

I dati, benché non aggiornatissimi, sono significativi. L’ultimo report che ho trovato è quello  dell’Ocse e fotografa la situazione fino al 2016 e analizza quella 2017. L’hanno riportata tutti i giornali. Il Sole 24ore, ad esempio, lo ha fatto il 20 giugno 2018 con un pezzo di Giuliana Lucini dal titolo molto significativo: italiani sempre più “migranti”: +11% i trasferimenti all’estero. Tutto ruota attorno al rapporto Ocse. Emerge che i trasferimenti all’estero sono stati 102.000  nel 2015 e 114.000 unità nel 2016, mentre i rientri si attestano sui 30.000 casi l’anno. Nel 2017 i trasferimenti all’estero dovrebbero essere diminuiti del tre per cento circa.




A emigrare sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più di 25 anni, registrati nel 2002 in uscita per l’estero, il 51% aveva la licenza media, il 37,1% il diploma e l’11,9% la laurea ma già nel 2013 l’Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea. Per cui si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati.



Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna; quindi, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa dove si indirizzano circa i tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.


Secondo il report, a rendere ancora più allarmante il quadro è un’ulteriore considerazione: i flussi effettivi sono ben più elevati rispetto a quelli registrati dalle anagrafi comunali, come risulta dagli archivi statistici dei paesi di destinazione, specialmente della Germania e della Gran Bretagna. Pertanto, i dati dell’Istat sui trasferimenti all’estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte e di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000 trasferimenti, un livello simile all’immediato dopoguerra e a fine Ottocento.

Foto da http://www.camera.it/

Non a caso secondo l’Ocse l’Italia è ottava nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. Al primo posto c’è la Cina, davanti a Siria, Romania, Polonia e India. L’Italia è subito dopo il Messico e davanti a Vietnam e Afghanistan In 10 anni la Penisola è “salita” di cinque posti nel ranking di quanti lasciano il proprio Paese per cercare migliori fortune altrove.

Ma, verrebbe da dire, non c’è niente di cui meravigliarsi: non investiamo a sufficienza nella ricerca. Siamo molto al di sotto delle altre maggiori economie europee, nel 2015, 1,3% del Pil contro una media poco superiore al 2,0% per l’Ue (dati Istat) con eccezione della Spagna. Il divario, che riguarda la spesa, si attenua se si considerano gli addetti (1,8% contro 2,0% medio nell’Ue) e l’output brevettuale. Circa il 60% della spesa in ricerca e sviluppo è concentrata in Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia-Romagna.


E, cosa ancora più grave, nell’ultima legge di bilancio i fondi per la ricerca sono diminuiti. È chiaro che questo è un problema per l’immediato, ma, soprattutto, per il futuro. Investire in innovazione tecnologica è vitale. L’ascesa dei paesi orientali dimostra che questa è la strada giusta da seguire. La Cina, nel giro di pochi anni, è diventata un esportatore di prodotti hi-tech ed oggi sfida gli Stati Uniti nei settori tecnologici più avanzati come l’intelligenza artificiale e la robotica che nei prossimi decenni cambieranno il mondo, per sempre. Non a caso nella classifica delle nazioni più innovative ci piazziamo al ventinovesimo posto, dopo la Spagna e prima di Cipro (fonte Business insider).

Il governo invece ha puntato su uno sviluppo che passa dalla creazione di nuovo debito pubblico, politica che ricorda quella degli anni ’80 quando il Pentapartito, allora alla guida del Paese, ipotecò il futuro degli italiani.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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