Si nasce incendiari, si finisce pompieri

Nonostante un momento delicato i riformatori continuano ad essere prevalenti

In linea di massima ognuno di noi ha una particolare predilezione per una o più frasi storiche. Io, ad ogni piè sospinto, uso ‘si nasce incendiari e si finisce pompieri’. La frase mi piace un po’ perché mi ci riconosco, ma soprattutto perché la ritengo una massima che fotografa benissimo la parabola che quasi tutte le persone compiono.

La politica è forse il settore al quale questa frase si addice in modo particolare, le si cuce addosso come un abito di sartoria. A parte coloro che si trovano a loro agio nel ruolo di oppositori, la maggior parte dei protagonisti dopo un inizio urlato si avvicina gradualmente al moderatismo. Che, si badi bene, non è una brutta parola. Fino a non molto tempo fa i moderati erano considerati la parte più importante dell’elettorato. Adesso viviamo una situazione diversa. Molto a causa della pesante crisi economica che ha minato, fin dalle fondamenta, il nostro sistema. Una volta disoccupati o esodati, tanto per fare l’esempio di due delle categorie in maggiore difficoltà, avevano di fronte una prospettiva molto più rosea. Pensavano che ci sarebbe stato uno sbocco. Adesso hanno di fronte il nulla, o quasi. Per questo urlano e confidano in chi alza di più la voce. Quando uno affonda si aggrappa a tutto quello che può.

L’esperienza però ha insegnato che quei gruppi, partiti o movimenti se arrivano ad occupare una posizione di governo modificano il loro atteggiamento e abbracciano una politica moderata che li porta a dialogare anche e con sempre maggiore frequenza con coloro che fino a poco tempo prima additavano al pubblico ludibrio.

Ma, per la verità, un po’ tutti siamo così. Emerge in modo particolare da una rilevazione fatta da Swg nel periodo immediatamente prima al referendum costituente. E ricalca un po’ quegli stereotipi secondo cui da giovani siamo tutti incendiari, rivoluzionari, idealisti, pronti a combattere contro ogni mulino a vento che incontriamo per strada, mentre crescendo acquisiamo saggezza, consapevolezza, realismo, abbandonando gli eccessi giovanili per finire in un più placido conformismo e in una più mite visione del futuro.

Dalla rilevazione emerge che i riformatori, i cosiddetti “pompieri”, rappresentano il 45 per cento del campione intervistato, dato invariato rispetto a una medesima rilevazione compiuta lo scorso anno. I rivoluzionari invece, i cosiddetti “incendiari”, rappresentano il 34 per cento,  dato in calo di sei punti rispetto a quello di dodici mesi prima, ma molto più alto rispetto al 2011 quando si attestava al 28 per cento.

Ma è lecito chiedersi perché è calato dopo essere cresciuto in modo considerevole.

Come può diminuire la percentuale dei “rivoluzionari” in un contesto sociale in cui l’insoddisfazione e la rabbia stanno aumentando? Come possono diminuire in un contesto che vede acuirsi gli scontri e vede la costante crescita delle forze politiche più estremiste? Verrebbe da pensare che, probabilmente, il mettere le persone davanti a un percorso riformatore va a mitigare quello spirito di ribellione che vorrebbe sfasciare tutto.
Paradossalmente questo sondaggio può dare una risposta parziale a chi si chiede come affrontare chi vuole distruggere tutto. Offrire alle persone la possibilità di attuare un’ampia riforma, la possibilità di esprimersi in merito tramite un referendum, in generale il coinvolgere le persone e il renderle partecipi delle scelte da fare contribuisce a diminuire la portata distruttiva degli “incendiari”. Questo porta a ricordare una delle idee che circolò nel Pd all’indomani dell’elezione di Matteo Renzi, ovvero il consultare gli iscritti in merito a proposte di legge, riforme, investimenti, eccetera. Un po’ quello che fanno i 5Stelle. In pratica l’idea di fondo era coinvolgere le persone nel processo decisionale, quantomeno ascoltarle per capire il loro punto di vista. Forse il risultato maggiore di questo sondaggio ci dice proprio che è una buona idea. Populista, ma buona.

Una delle idee che circolò nel Pd all’indomani dell’elezione di Matteo Renzi, fu consultare gli iscritti in merito a proposte di legge, riforme, investimenti.

Come a Cesena è stata una buona idea Carta Bianca. Il coinvolgimento diretto della base è sempre importante. E quello utilizzato a Cesena è un metodo intelligente. Però andrebbe parzialmente rivisto. A mio avviso dovrebbe essere rivolto solo ai singoli cittadini, non ha senso il coinvolgimento di associazioni di categoria, sindacati o di tutti quegli organi intermedi con i quali il confronto è continuo. E che, proprio per questo motivo, hanno poco da aggiungere al dibattito. Oltretutto se si devono trovare a fare un intervento con dei tempi contingentati.

Per confrontarsi con i corpi intermedi ci sono quei sani incontri istituzionali che a una parte della politica moderna non piacciono, ma che, secondo me, restano un utile arricchimento per tutti, sempre che, da entrambe le parti, ci sia la voglia di ascoltare.

Per molti è consociativismo. Per me è politica, bella e sana. E, sono convinto, nonostante l’età che avanza impietosa, di non essere diventato troppo pompiere.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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