Carta Manolibera: regaleresti qualcosa fatto da un carcerato?

Le statistiche indicano che chi lavora ha un tasso di recidiva, cioè di finire di nuovo in carcere, molto più basso rispetto agli detenuti

Perché comprare un prodotto fatto in carcere? Si può rispondere che il lavoro dà un senso al tempo passato in cella. Ma non solo. «I  nostri prodotti sono buoni e belli», sostiene Freedhome, il circuito che ha messo in rete una dozzina di progetti di economia carceraria, sviluppati da Aosta a Siracusa. Di recente a Torino è stato aperto il primo negozio che commercializza i biscotti fatti nella casa circondariale di Verbania, i taralli realizzati dietro le sbarre a Trani, il torrone di mandorla proveniente dal penitenziario di Ragusa o le t-shirt e le borse costruite dalle detenute del carcere femminile di Venezia. In tutto una dozzina di progetti ideati da cooperative sociali che impegnano circa un migliaio di detenuti, sugli oltre 50 mila reclusi nelle 191 galere italiane.

Foto da www.myfreedhome.com

Il lavoro in cella è infatti una nicchia, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei. Leggi, burocrazia e pregiudizi infatti ostacolano l’attività delle persone “ristrette”, che, a sentire i promotori di Freedhome, sono ben contente di darsi da fare. «Li ho visti lavorare anche il giorno di Ferragosto e in tanti altri festivi», dice Marco Girardello, responsabile del progetto ‘Banda Biscotti’ nella casa circondariale di Verbania. Perché le giornate assumono un significato, non solo perché l’impegno è remunerato, sia pure di meno rispetto alle stesse mansioni  svolte dalle persone libere. Pare infatti che i contratti siano rimasti quelli nazionali di settore, ma non più aggiornati dopo il 1992.

Foto da www.myfreedhome.com

Chi ha la possibilità di lavorare? «Sono le dirigenze delle carceri a deciderlo, in genere viene scelto chi ha mostrato buona condotta e si trova vicino a uscire»,  sostiene Lia Benvenuti, direttore generale di Techne, che  ideato il progetto Carta Manolibera nella casa circondariale di Forlì. Le statistiche indicano che chi lavora inoltre ha un tasso di recidiva, cioè di finire di nuovo in carcere, molto più basso rispetto agli detenuti». I prodotti nati dentro le mura si possono acquistare nelle botteghe del commercio equo e solidale, talvolta riconoscibili dal marchio “Solidale Italiano”, oppure nei circuiti della cooperazione sociale. Ma in alcuni casi vengono venduti anche da negozi della zona, dove  esiste un  rapporto – e non solo l’indifferenza – fra il territorio e il carcere.

Questo post è stato letto 83 volte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *