All’odio sui social bisogna rispondere – parte 3 – il dibattito prende piede

Continuano a piovere visite e commenti al mio editoriale della Romagna Cooperativa sull’odio proveniente dai social network nei confronti delle cooperative.

Un primo pacchetto di risposte ai commenti (anonimizzati) è disponibile qui.

Per correttezza dobbiamo dire che una delle persone che si è sentita chiamata in causa ha risposto, in modo assai civile sulla rivista Collegamenti qui, qui e in questo lungo articolo di Franco Faberi (disclaimer: sono 10.800 battute).

Innanzitutto vorremmo tranquillizzare tutti e ribadire che l’editoriale non era “ad personam”, come ha avuto modo di precisare il Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Michelangelo Bucci, chiamato a intervenire dalla portavoce in consiglio comunale del Movimento 5Stelle.

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Vogliamo allora tornare a discutere di come avviene la lotta politica nell’epoca dei social network?

Ho già avuto modo di esprimere che questa pericolosa deriva nasce da un fatto comprovato: la soglia di attenzione si è abbassata da 12 a 8 secondi, meno di un pesce rosso.

Questo porta tutti gli esponenti politici (di sinistra, destra e centro) ad adottare strategie di comunicazione di, purtroppo, comprovata efficacia. Le “parole d’odio” fanno parte di queste strutture, adottate in modo più o meno conscio.

L’obiettivo è creare una reazione in uno spettatore che ha sempre meno desiderio e capacità di concentrazione. Un po’ di “scienza” su queste cose potete leggerla, in inglese, in questo studio di due ricercatori italiani Marco Guerini (Fondazione Bruno Kessler – Trentorise) e Jacopo Stajano (Sorbona).  Qui trovate una trattazione giornalistica in italiano.

In breve: le emozioni contano moltissimo nella viralizzazione dei contenuti, non tanto nella loro “valenza” (positiva o negativa), quanto nella loro interazione tra i parametri di “eccitazione” (arrabbiato, eccitato) e “dominanza” (ciò che mi fa sentire in controllo e ispirato).

L’alternativa, per chi si occupa di web marketing, è quindi tra due scelte: creare contenuti che facciano sentire la gente “ispirata” (le foto dei gattini, i “meme” motivazionali e così via) oppure informazioni che generino una reazione “eccitata”.

Cosa sceglieranno i politici italiani quando parlano di cooperazione?

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E ancora il brutto vizio di chiamare gli amichetti per darsi man forte.

Ma parliamo della grande famiglia cooperativa, composta immagino da cooperative di Legacoop (rosse?), Confcooperative (bianche?) e Agci (verdi?). A fine anno ci sarà l’unificazione nell’Alleanza delle Cooperative Italiane.

Se uno lavora per una grande cooperativa ha diritto a criticare il movimento cooperativo? Certo, dico io. Tra l’altro nella filiera che seguo personalmente ci sono autorevoli e validissimi esponenti di tutto l’arco costituzionale, incluso il Movimento 5 Stelle. È normale: molti cooperatori sono impegnati in politica, perché si occupano attivamente della vita della propria città.

Se però un’esponente politica che nella vita è anche cooperatrice (lo desumo dal profilo pubblico)  si esprime pubblicamente in questo modo così dispregiativo contro “la grande famiglia cooperativa” non dovrebbe farsi qualche domanda in termini di coerenza personale? Purtroppo sui social network – per la loro natura – abbondano le risposte, non le domande.

Questo commento, raccolto fra i tanti di un noto gruppo di discussione cesenate, dice molto.

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(…)qualcuno ha il vezzo di “alzare” la voce in FB e poi girare la frittata dall’altra parte rovesciando il tutto sulla controparte e poi parte la difesa degli amici che vanno a demolire definitivamente l’interlocutore, fino alla presa in giro! (…) A voi sembrano modi normali di interloquire con le persone a me no! Io stesso ho subito minacce verbali e son stato chiamato fuori a minaccia fisica, a cui non mi sono sottratto peraltro!

Prescindendo dal caso specifico, ribadisco, arrivare alla minaccia fisica per il modo in cui si intraprende una discussione sui social network non è normale. Non può diventare la normalità. Non deve diventare la normalità.

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E invece l’attacco personale (in questo caso rivolto alla mia persona) è la norma. È un segno di inciviltà? A mio parere sì. Lo devono dire i giudici? In alcuni casi (non questi, ovviamente) sono convinto di sì.

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In effetti c’era un equivoco: pensavo che si chiedesse all’Ordine nazionale la mia radiazione, invece si chiedeva la cancellazione dell’articolo. Una sanzione del tutto fuori dalla realtà e dal diritto, che un esponente politico che ambisce a governare un capoluogo, per quanto mi riguarda, non può non conoscere. Mi scuso per il misunderstanding.

Al di là di questo, ciò che colpisce è la continua ricerca di quello che Schopenhauer chiamava argumentum ad hominem, ovvero l’attacco di qualità della persona che non attengono alla disputa in oggetto. Sotto a quello c’è solo la presa in giro del nome dell’interlocutore. Mi volete chiamare “Cecilio” come all’asilo?

Schopenhauer

«Ho scritto 38 stratagemmi per ottenere ragione e voi usate sempre quello più becero. È proprio vero che il destino può mutare, la nostra natura mai».

Ah, un’ulteriore precisazione. I commenti pubblici a un articolo pubblico su una pagina pubblica di Facebook sono, indovinate un po’?, pubblici (ad esempio in questo thread molto interessante). Qui si è deciso di anonimizzarli, ma non sarebbe stato necessario.

A chi mette in dubbio che la Romagna Cooperativa sia un giornale vero, dedico questa immagine. È la testata del giornale in cui affondiamo le radici, il primo numero di cui conserviamo copia in archivio. La vedete la data là in alto? Dice Anno I n.5 – 1 agosto 1953.

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Bisognerebbe stare attenti, invece, a prendere a riferimento certe pseudo-testate più volte finite sotto i riflettori dei siti antibufala.

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Emilio Gelosi

Giornalista professionista. Nel 2013 da una mia idea è nata RomagnaPost, il multi blog che parla della Romagna. RomagnaPost non è una testata registrata, ma una infrastruttura tecnologica, uno spazio virtuale di aggregazione dei contenuti in cui scrivono i migliori autori della Romagna. Ogni autore è responsabile in prima persona di quanto scrive. 

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