Nuova legge elettorale: pro e contro

Abbiamo una nuova legge elettorale. Benvenuta. Serviva, va nella giusta direzione, ma ha dei nei. È vero, garantisce governabilità, ma non ha tutti i contrappesi che la democrazia richiederebbe. Perciò, ora che è stata approvata (giustamente), a bocce ferme, si potrebbero studiare quelle modifiche che servono per migliorarla senza però snaturarne, in nessun modo, la filosofia.
In Italia c’era bisogno di una legge elettorale che garantisse stabilità. Su questo Matteo Renzi, presidente del Consiglio, aveva ragione. Del resto è fondamentale avere una situazione chiara. Un paese con tutti i problemi che ha l’Italia deve avere un sistema che permetta di governare con agilità. Basta con i veti dei partiti dello zero virgola, basta con il salto della guaglia dei parlamentari, basta con le larghe intese (anche se in Germania, per la verità, funzionano), basta coi governi tecnici. E questa legge va in quella direzione. La vittoria (al primo o al secondo turno, poco importa) permetterà al partito vincitore di avere i numeri per portare avanti il proprio programma. Poi, dopo cinque anni, verrà giudicato dagli elettori. Fin qui tutto bene. È un po’ quel che succede nei Comuni dove questa legge elettorale, in vigore dal 1995, funziona. E bene.
Ma, come detto, ci sono degli aspetti da rivedere. Di fatto l’Italicum cambia completamente volto al paese. Nello stesso momento introduce presidenzialismo e bipartitismo. Insomma, un modello modello americano, ma in salsa fiorentina.
E qui arrivano le note dolenti. L’assenza di quei contrappesi necessari per una democrazia. È altissimo il rischio di avere un uomo solo al comando. Vediamo perché.
Come detto stiamo andando verso un modello (bipartitismo) americano. Ma negli Usa il presidente (eletto direttamente) non sarà mai plenipotenziario. Come il presidente del Consiglio italiano deve rispondere al parlamento. Ma con una sostanziale differenza. Il nostro oltre ad essere un parlamento di nominati (per le liste bloccate) è eletto in concomitanza con il presidente del Consiglio. Quello americano no. Lì ci sono le elezioni di medio termine, dove può cambiare tutto. Non a caso in questo momento c’è un presidente democratico e un parlamento repubblicano. La cosiddetta “anatra zoppa”.
Insomma ci sono sbarramenti molto maggiori rispetto alla legge italiana. Mi si potrà obiettare che il nostro è pur sempre un sistema parlamentare. Vero, anzi verissimo. Ma il nostro presidente del Consiglio per cinque anni dovrà rispondere ad una maggioranza composta da parlamentari che lui stesso ha nominato. Forse è un po’ troppo. È per quello che sarebbe il caso di pensare a qualche aggiustamento.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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