La notizia fa violenza?

Esiste un rapporto diretto tra violenza e informazione? L’irruzione sulla scena delle scoperte della neuroscienza (e del loro successo di diffusione popolare nell’ambito della saggistica) ha rinfocolato la polemica sull’influenza dei media (in particolare la televisione) sui reati e sui comportamenti violenti all’interno delle società occidentali avanzate. Oltre il chiacchiericcio da bar e le tesi sul progressivo decadimento dei costumi (le stesse che gli storici romani di età imperiale enunciavano rispetto al periodo repubblicano), ci sono però i dati. Il neuroscienziato francese Michel Desmurget in un ponderoso studio che ha messo fila un’imponente mole di dati scientifici ha puntato il dito verso la tv (non a caso il suo libro s’intitola ‘Tv lobotomie’). L’esposizione continua a immagini violente avrebbe così un effetto diretto nella crescita di comportamenti aggressivi e deviati. Però lui parla di tv e società francesi. Il caso italiano meriterebbe uno studio a parte. Se infatti da un lato la nostra televisione è ritenuta una delle peggiori d’Europa, dall’altro i tassi dei reati violenti (a parte le violenze sessuali) sono in diminuzione costante almeno dall’inizio degli anni Novanta. E invece in aumento il senso di insicurezza e di paura dei cittadini. Correlato all’aumento dei reati predatori (furti in particolare) ma forse anche al sensazionalismo ansiogeno di buona parte dell’informazione.

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Emanuele Chesi

Emanuele Chesi è capo della redazione del Resto del Carlino di Cesena. Per Romagnapost scrive di media, in particolare del rapporto tra informazione e politica, e di tutto quello che gli viene in mente. 

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