Bandire il sogno senza tradirlo

Umberto Curi

Umberto Curi

Umberto Curi è uno dei massimi filosofi italiani del nostro tempo. Ospite fisso del festival L’Occidente nel labirinto, questa volta si confronterà con il tema del sogno. Nel corso dell’evento dal titolo Bandire il sogno senza tradirlo. Protocolli onirici da Benjamin a Fellini in programma venerdì 22 novembre alle 21 alla Biblioteca Comunale A. Saffi di Forlì (C.so Repubblica 72), traccerà un originale percorso ermeneutico che va dall’antichità fino a Federico Fellini.

La scelta di trascrivere anziché di interpretare i sogni, lasciandoli quindi volutamente nella loro indeterminazione e ambiguità, facendo in modo quindi che non vengano ricondotti ad una misura qual è la misura del logos, porta con sé anche il fatto che essi implichino una dimensione temporale diversa da quella indicata nella linea dell’onirocritica da Omero fino a Freud, passando attraverso Artemidoro e il Somnium Scipionis di Cicerone, e cioè non già la dimensione temporale del futuro, ma piuttosto quella del passato.

Ciò che essi possono rivelare non è tanto l’attesa di avvenimenti futuri che si compiranno, quanto piuttosto i segreti ancora custoditi nel passato.
I sogni come messaggeri della memoria, dunque, piuttosto che come anticipatori dell’avvenire. Rispetto alla lettura in chiave profetica e divinatoria dei sogni, tale per cui il sogno annuncerebbe avvenimenti futuri, e ciò a condizione che esso venga interpretato, la trascrizione adorniano-felliniana allude al sogno come testimone del passato, come veicolo della memoria.

Ma dove conduce un sogno così inteso – un sogno che va dunque sottratto alla manipolazione dell’interpretazione, che va salvato dall’appiattimento della spiegazione, e va piuttosto semplicemente trascritto o narrato tramite un disegno o un film?
Una possibile indicazione è fornita da Federico Fellini. Limitandosi a trascrivere e a disegnare i suoi sogni, e sottraendoli all’interpretazione, il grande regista riminese ci ha rivolto un monito. L’avvertimento è quello di sostare davanti alla porta socchiusa dell’universo della sua memoria, senza la pretesa di spalancarla e di entrarvi dentro.

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