Come diventare una città universitaria?

Quante volte abbiamo sentito dire che il rapporto tra l’Università e l’impresa deve diventare un volano dello sviluppo? Molte, moltissime, anzi troppe volte, a giudicare dalle poche azioni concrete che sono state poi intraprese. Siamo un territorio che ospita una Università. Bene. Ma oggi non si va oltre a questo. Dovremmo cercare di diventare un territorio che dialoga con l’Università, mette in circolo idee, progetti di impresa e  li discute senza barriere o veti preventivi.

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Nel 2012 abbiamo svolto con il centro Antares un’indagine che voleva comprendere fino a che punto le imprese che innovano, si rivolgono all’Università di Bologna in Romagna.
I risultati (con un campione di oltre 100 imprese romagnole impegnate in azioni di innovazione) hanno confermato che esistono esigue tracce di dialogo tra Impresa e Università, (ma attenzione, attenzione), di questo raccordo le imprese riaffermano la necessità, anche solo per un accompagnamento a propri progetti di sviluppo e ricerca. Alcune imprese si sono spinte anche a segnalare i temi di ricerca su cui apprezzerebbero un collegamento. La stessa Università ne potrebbe trarre indicazioni sulle strategie da adottare per rafforzare l’inserimento lavorativo e le collaborazioni di ricerca. I risultati, che ormai abbiamo messo a disposizione degli amministratori, non lasciano, a nostro avviso, spazio a fraintendimenti su quella che dovrebbe essere l’azione da intraprendere.
Come permettere questo avvicinamento? Lavorando sistematicamente sull’intermediazione!
L’intermediazione che abbiamo in mente non è quella degli uffici di trasferimento tecnologico che funzionano dove la domanda delle imprese è ben codificata perché le imprese già fanno ricerca (per dimensioni o per capacità di crescita propria). No. L’intermediazione che serve oggi al decentramento universitario romagnolo (e congruo con le caratteristiche di impresa locali) è un decentramento “porta a porta” in cui figure di giovani intermediari dell’innovazione colleghino le esigenze delle imprese alla disponibilità di conoscenza dei nuovi Dipartimenti e Scuole di Alma mater (ma non solo!) conducendo a sviluppo di tesi applicate, tirocini, collaborazioni di ricerca. Il tutto in un portafoglio di azioni di collegamento che esige un forte coordinamento. Non si vuole invadere il giardino delle associazioni di categoria. Ma occorre che questa azione che per le associazioni è complementare ad altre, diventi invece centrale per l’azione di governo del territorio.
Di questo tipo di intermediazione si potrebbero giovare i Campus nati dalla riforma (gli ex Poli) perché questo potrebbe aprire nuovi canali per la sfida del “placement” (che poi significa dare un futuro lavorativo a giovani laureati in Italia) e se ne potrebbero giovare le imprese, come dimostrano esempi virtuosi di regioni europee dove il polmone di collegamento imprese-università è considerato organo vitale per innovare e attrarre investimenti (si veda cosa accade in alcune regioni della Germania e dell’Olanda a proposito).
Riusciranno i nostri eroi (territoriali) in questo? Siamo molto sfiduciati. Time is up. Tempo scaduto per dubbi e tentennamenti. Inutile pensare a incubatori e festival dell’innovazione se non si procede in questa direzione.

di Lorenzo Ciapetti (via Forlivese Blog)

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