Dolce vita e banche: le mire della Mala su Titano e Rimini

Ah, ecco. Dopo mesi di silenzio e le notizie di cronaca giudiziaria che lasciavano trapelare l’amnistia per il sistema-San Marino di fronte alle tre inchieste che, tra Napoli e Bologna, avevano scovato la brutta abitudine tutta camorrista (dei Casalesi) di estorcere denaro con minacce e violenze nei territori a cavallo tra San Marino e la riviera romagnola, ieri un altro colpo è stato inferto alla banda targata Caserta ma anche un po’ Titano. L’Antimafia di Napoli ha ordinato l’arresto di 24 persone e il sequestro dei beni frutto del riciclaggio dei denari sporchi del clan.

E fin qui, tra nomi già sentiti e circostanze già note, è tutta roba già letta. E invece no. Perché gli inquirenti han fatto un passo ulteriore scoprendo le nuove implicazioni del Titano negli affari dei boss e scovando la rete clandestina di appoggi incrociati e governi mafiosi alla base del sistema di estorsioni romagnolo, ‘ché si sa: la camorra ha un sistema molto politico di organizzare il potere attraverso affiliazioni, contratti e azioni rivolte a ingigantire i vertici e a indebolire fino all’imbarbarimento e alla disumanizzazione tutta la base dell’organizzazione, dai “picciotti” alle vittime. A dettare le regole del mercato nel gruppo casertano-romagnolo, con gli appoggi sul Titano, erano i portavoce economici della famiglia di Sandokan.

Che non è l’eroe di Salgari, ma non di certo l’ultimo degli sconosciuti a Caserta. Sono gli Schiavone, della famiglia di Francesco “Sandokan” Schiavone, il cui figlio – Carmine – era tra i vertici del clan dei Casalesi a cui il gruppo romagnolo-casertano (che faceva capo al boss Franco Vallefuoco e si avvaleva della consulenza finanziaria di Francesco Agostinelli) garantiva gli “investimenti” a San Marino. Tradotto? Per i boss della mala di Casal di Principe, il Titano era un porto sicuro. Dove entravano i soldi, e ne uscivano Ferrari e ville. Dove magari qualcuno soleva passarci pure le “vacanze”. Lo fece intendere la prima parte dell’inchiesta napoletana secondo cui a San Marino aveva trovato ospitalità perfino O’ cecato, quel Giuseppe Setola allora ricercato per la strage di Castel Volturno, quello che per rincorrerlo, la polizia lo dovette inseguire nella sua corsa in skate nelle fogne e sui tetti di Aversa. E ancora, il pentito Salvatore Venosa, raccontano gli inquirenti napoletani, avrebbe svelato come i clan Zagaria, Schiavone e Iovine investissero in alberghi e edilizia sul Titano già dai primi anni Duemila. (http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/04/esclusivo-il-pentito-salvatore-venosa-racconta-che-i-clan-zagaria-schiavone-e-iovine-investono-in-edilizia-e-alberghi-a-san.html).
Soldi, donne (molte le protagoniste rosa della maxi inchiesta, ma anche tante le vittime in gonnella), auto di lusso e guerci e un territorio, quello sammarinese, conosciuto a menadito dai casertani & co. E’ possibile che, all’ombra delle Tre Torri, nessuno abbia visto? Se lo chiede oggi l’amico Davide Grassi, in un bel post sul suo blog pubblicato dal Fatto quotidiano. Alla sua domanda, han cercato di rispondere prima i parlamentari sammarinesi che, nel 2012, formavano la commissione d’inchiesta consiliare proprio sui fatti correlati alla finanziaria Fincapital (considerata legata agli affari dei Vallefuoco, ma il cui patron Livio Bacciocchi, notaio sammarinese, è stato assolto dal gup di Bologna) e che arrivarono a “censurare” due politici considerati vicini al boss; poi i magistrati del Titano che sull’intera vicenda han aperto un’inchiesta, ora sotto secretazione. Ma c’è da fare un passo ulteriore nel ragionamento. Perché accontentarsi di chiedersi chi fossero i referenti sammarinesi agli affari dei boss sul Titano? Perché non cercare anche gli omertosi che, sottovalutando certi meccanismi, non hanno contribuito a disvelare un sistema tanto ammalato e non hanno denunciato i tentativi di asservimento? Ci piace pensare che qualche figlio imprudente del Titano avesse semplicemente sottovalutato il morbo della camorra, non riconoscendola per nome, ma ora non si faccia l’errore di pensare che con gli arresti tutto si concluda. Si approfitti delle ulteriori opportunità messe a disposizione dall’ultima grande operazione di polizia e delle già tante informazioni in possesso del Titano.

Tra tutte, un aiuto: quell’Agostinelli lì, tanto esperto di finanza, considerato vicino ai Vallefuoco e interlocutore di Carmine Schiavone&co, tentò prima la scalata della Banca commerciale sammarinese, poi quella mascherata alla Banca di San Marino alla quale rivolse anche pesanti accuse per ottenere un risarcimento d’oro (http://www.giornale.sm/francesco-agostinelli-si-voleva-comprare-dapprima-banca-di-san-marino-denunciato-poi-dai-vertici-della-stessa/#.UWWQ-KIvn0U). Ci si è mai chiesti chi fosse questo tizio tanto interessato alle banche del Titano? E con quali soldi avrebbe tentato le sue imprese? La Banca di San Marino si difese dalle accuse di Agostinelli con una querela. Una denuncia che ora potrebbe fungere da ulteriore spunto per il tribunale sammarinese, per cercare la strada degli (magari solo tentati, magari anche messi a segno) investimenti dell’“azienda” casalese in repubblica. Non basta l’indignazione della politica, ci vuole il coraggio – come lo si è avuto di dialogare con certi ceffi – di andarvi contro. E in questo la politica può farvi poco, se non garantire il pieno e proficuo appoggio a magistrati, gendarmi e poliziotti che, certi nomi, li conoscono da anni.

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Patrizia Cupo

Patrizia Cupo, 33 anni e mamma-bis. Giornalista professionista dal 2008, dopo qualche fortunosa esperienza in giro per l'Italia tra radio, agenzie e giornali locali, ha scoperto la repubblica del Titano affascinata dalle sue contraddizioni. Spasmodico amore per la cronaca giudiziaria, in tribunale si sente a casa sua (finché qualcuno non le porterà le arance).