Allargare il lago di Quarto

Si tratta di riprendere il progetto di Giorgio Zanniboni (1995) per mettere definitivamente in sicurezza il territorio dal punto di vista idrico

L’innovazione è una gran bella cosa. Ma deve essere fatta nella continuità. Ho sempre diffidato di chi arriva e promette di cambiare tutto. È l’anticamera della delusione. I cambiamenti servono, devono essere fatti, ma in maniera graduale e anche prendendo ad esempio quello che di buono era stato fatto. Nella pubblica amministrazione (come nella vita) non serve l’uomo (o la donna) dei miracoli. Ma una persona dotata di tanto buonsenso, che sappia amministrare e che abbia una visione di prospettiva.

Uno di questi fu Giorgio Zanniboni, ex sindaco di Forlì e “padre” della diga di Ridracoli. Se in una estate torrida come quella attuale i nostri problemi di approvvigionamento idrico sono ridotti al lumicino, buona parte del merito è suo. Ma troppo spesso ci dimentichiamo un’altra opera altrettanto fondamentale: il Canale Emiliano Romagnolo.

Da questo punto di vista stiamo bene, ma si potrebbe fare ancora qualcosa. E, proprio prendendo spunto da quello che voleva fare Zanniboni, si potrebbe lavorare sul bacino di Quarto. L’idea dell’ex presidente di Romagna Acque (parliamo del 1995, se non sbaglio) era quella di ricreare un vero e proprio lago (ora è poco più che una pozza) per riuscire a sfruttare un’enorme quantità di acqua che, altrimenti, finirebbe in mare. L’idea era di potabilizzarla, ma si potrebbe pensare ad un utilizzo misto e servire anche l’industria. In quel modo il Cer potrebbe essere usato solo o quasi per l’agricoltura.

È chiaro, stiamo parlando di un progetto costoso. Oltre ai lavori di Quarto ci sarebbero quelli della o delle centrali di raccolta e pompaggio e la rete di distribuzione. È un lavoro che non avrebbe un grandissimo ritorno mediatico, ma sarebbe molto utile al territorio, soprattutto per il futuro. Inoltre non avrebbe impatti ambientali. Un po’ quello che successe anche per la messa in sicurezza idrogeologica. Nella seconda metà degli anni Novanta la Regione investì moltissimo (se non sbaglio oltre cinquanta miliardi delle vecchie lire) per mettere in sicurezza un territorio che ad ogni temporale finiva allagato. Fu un lavoro di spessore. Ma non se ne mai parlato. Però, tanto per fare un esempio, vi siete mai chiesti da quanto tempo non esonda il Pisciatello? Cosa che in passato, invece, succedeva spesso.

Ebbene, muovendoci in questa direzione si otterrebbero due risultati: mettere in sicurezza il territorio e creare ricchezza. È un po’ quello che si potrebbe fare in Italia lavorando per cercare di risolvere due grandi emergenze: quella della messa in sicurezza dal punto di vista sismico e la carenza idrica. Insomma, una politica keynesiana che non avrebbe impatti ambientali e sarebbe una risposta (parziale, ma interessante) alla robotizzazione dell’industria.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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