Io antirenziano. Ecco perché

L'ex presidente del Consiglio incarna quell'uomo forte dal quale sono distante che anni luce. Non mi è piaciuto neppure come amministratore. Troppi provvedimenti spot. Ci volevano altre scelte per far ripartire il paese

Non sono mai stato renziano e non lo sarò mai. Non mi piace il suo comportamento. Lui incarna quell’uomo forte che non ha niente a che vedere con i miei valori. Inoltre pensa, andreottianamente, che il governo sia la sola ragione per stare in politica – e al suo premierato ha dedicato e sacrificato tutto. Il partito in questa visione è solo una macchina elettorale. Una visione coerente dal suo punto di vista, che vede in ogni accordo interno, in ogni attività partitica non direttamente interessata a costruire consenso intorno al premier un’inutile se non dannosa distrazione.


Dal mio punto di vista invece il governo è il vertice di quella piramide sociale che vede il partito come costruttore. Il governo è, in questa esperienza, la metamorfosi finale di un ordinato processo di organizzazione delle dialettiche sociali. Per questo non è mai fatto da un uomo solo al comando.
Renzi non lo ho apprezzato neppure come amministratore. Non avevo però particolari aspettative. Mi aveva messo in guardia un ex amministratore pubblico (del quale mi sono sempre fidato) che ha avuto rapporti di lavoro con il Comune di Firenze quando Renzi era sindaco. Fu una conferma alle mie impressioni.
I dubbi sulla statura di statista sono aumentati dopo il primo provvedimento da presidente del Consiglio, quello degli ottanta euro. Una scelta che fin dall’inizio ho giudicato elettorale. Non a caso il quaranta e passa per cento delle europee è figlio soprattutto di quel provvedimento. Ma che sarebbe servito a poco era però abbastanza chiaro. La cifra era troppo diluita per poter garantire quella spinta in grado di far ripartire l’economia. Tutta altra cosa se quei dieci miliardi annui (euro più, euro meno) fossero stati investiti nei lavori pubblici.
Tutti gli analisti sono concordi nel ritenere che la ripresa degli investimenti pubblici abbia un’importanza strategica. Il Fondo monetario internazionale vi ha dedicato un intero capitolo del World Economic Outlook. È emerso che in un paese avanzato un aumento nell’ordine di un punto percentuale di Pil degli investimenti pubblici si accompagnerebbe ad una maggiore crescita economica prossima al mezzo punto percentuale nel primo anno, per poi raggiungere l’1,5% nel quarto. Gli effetti sulla crescita sarebbero maggiori se gli investimenti fossero finanziati con nuovo debito. Inoltre è sottolineato come un aumento degli investimenti produrrebbe effetti più consistenti nel caso di un paese con una bassa crescita. Insomma, come minimo, avremmo colmato il gap con la Germania. Nel 2016 è solo quella la differenza del Pil tra i due paesi. La Germania ha chiuso a più 1,9 e l’Italia a 0,9. Però i tedeschi hanno potuto godere di un più 0,8 negli investimenti pubblici, contro lo zero dell’Italia. Inoltre va precisato che investimenti non sono per forza colate di cemento. Ci sarebbe tanto da fare anche nella ristrutturazione e nella manutenzione.
Renzi, a mio avviso, non ha brillato neppure per quanto riguarda le scelte legate al mercato del lavoro. Al di là dei contenuti (condivisibili solo in alcuni particolari), Voucher e Jobs Act sono strumenti che possono essere utili in un mercato che funziona. Non erano quelli in grado di garantire la svolta necessaria per sbloccare il mercato del lavoro. Per la cambiare le cose non serve intervenire nelle regole, ma bisogna far ripartire l’economia. E siamo punto è a capo. L’economia riparte solo se si crea lavoro attraverso gli investimenti. E se non li fanno i privati deve intervenire il pubblico.
L’impressione invece è che Renzi abbia voluto procedere con provvedimenti spot. Come il taglio all’Ici. Premesso che quella cifra l’avrei utilizzata in modo diverso, a partire dalla riduzione della tassa sui redditi da lavoro dipendente. E poi proprio si vuole intervenire sulla casa bisogna farlo in modo più articolato evitando di tagliare la tassa anche alle ville. Nemmeno Berlusconi era arrivato a tanto. Non è garantita per i soldi in più che entrerebbero nella casse pubbliche (la cifra non è alta), ma il segnale che si manda.
P.S. Per le primarie del Pd tifo Orlando. Per ora è solo per una questione di atteggiamento. Attendo di conoscere i programmi.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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